Doveri dei giornalisti

Cifra 1

1.1.Ricerca della verità

Rimanere critici nei confronti dei comunicati stampa ufficiali

L’Università di Zurigo pubblica un comunicato stampa in cui afferma -erroneamente- che il 10% dei pazienti affetti da COVID è in grave pericolo. Si tratta di una semplificazione approssimativa e non pertinente di uno studio presentato nel suddetto comunicato. Alcuni media diffondono con leggerezza informazioni inesatte, mentre altri le correggono. Sebbene in linea di principio si dovrebbe poter fare affidamento su un comunicato di questo genere, i media devono mantenere una distanza critica nei confronti dei comunicati ufficiali. (91/2020)

Le discussioni da bar non sono fonti attendibili

Affermare che i richiedenti asilo rubano merci basandosi solo su chiacchiere da bar, senza citare nessuna fonte ufficiale a conferma dell’informazione, viola il dovere di ricerca della verità. (21/2017

Diritto del pubblico a conoscere la verità

Un ospedale è accusato da una televisione regionale di non avere preso sul serio lo stato di salute di una paziente la quale, a causa di tale negligenza, sarebbe potuta morire. Le informazioni al giornalista sono state date soltanto dalla paziente e dalla madre di lei. Il giornalista ha commesso una  evidente violazione del suo dovere di diligenza. Il principio della ricerca della verità implica la raccolta e l’esame di tutti i dati disponibili e accessibili. In ogni caso si sarebbe dovuta attendere la presa di posizione dell’ospedale, quand’anche la paziente avesse esonerato il giornalista dal far valere il segreto professionale. (51/2015

Quando una mancanza di precisione induce in errore chi legge.  

Un’assicurazione malattia è criticata da un periodico in quanto imporrebbe ai propri assicurati dei premi che si ritiene eccessivi. Il giornale cita una crescita dei proventi annuali del 3,2%, omettendo però che l’aumento non è dovuto tanto all’aumento dell’importo dei premi quanto a quello del numero degli assicurati. È una mancanza di precisione tale da indurre in errore il lettore. (21/2013

Non correre troppo!

Un giornale riferisce di un processo che oppone un personaggio della TV a un militante per la causa animalista. La sentenza non è stata ancora pronunciata ma l’articolo si conclude sostenendo che la multa cui sarà condannato il militante sarà di 6000 franchi. Il giornalista ha corso troppo, il dovere di rispetto della verità è violato. (44/2013

Breve d’accordo: ma corretto

Si può capire che le esigenze tipografiche obblighino ad accorciare un titolo. Ma fino a che punto? È utile, allora, che un sottotitolo ne relativizzi la portata fornendo altre spiegazioni. In ogni caso, neppure un titolo breve può essere errato. Idem per la locandina che lancia il servizio. (3/2015; 60/2009; 32/2000

Un attacco personale deve essere fondato

L’interesse del pubblico a conoscere il passato politico di una persona in vista – nel caso, un direttore di giornale – non giustifica la pubblicazione di foto scattate dalla polizia trent’anni prima. Ancora meno si giustifica parlare di «vicinanza inquietante» accostandole alle immagini di persone condannate per atti di terrorismo, se l’addebito non è sostenuto da prove sicure. (26/2013

Soggettività di un servizio dalla guerra

In un servizio si cita la possibilità che la Siria sia responsabile della «trappola fatale» costata la vita a un giornalista. Lo si dice tuttavia in forma ancora ipotetica, per cui il Consiglio della Stampa non la ritiene una violazione del dovere di ricerca della verità. Neppure spetta al Consiglio la verifica della giustezza di una determinata tesi: ai corrispondenti di guerra va riconosciuto che sono soggetti alla propaganda di tutti i belligeranti. (39/2012)

Se riconoscibile come tale, la polemica può anche essere eccessiva

Un articolo mette in causa in termini violenti le pratiche di un certo sindacato. Si parla di «azioni da commando», di «minacce», di «ricatti». Ma non è data violazione del dovere di ricercare la verità, dice il Consiglio della stampa: perché, se è vero che qualche interpretazione è contestabile e che determinate accuse sono espresse in toni eccessivi, è vero pure che nell’articolo si dà la parola al sindacato perché difenda i metodi usati (56/2008).

Cifra 2

2.0. Indipendenza e dignità della professione 

L’autore dev’essere chiaramente identificato

Un ex giornalista ha conservato l’abitudine di apporre soltanto le sue iniziali – come usava quando teneva una rubrica di economia – pur avendo lasciato il giornale per assumere la direzione di Avenir Suisse. Poiché non tutti i lettori possono essere al corrente del cambiamento di funzione, era indispensabile che il dato fosse precisato, come per tutti gli altri collaboratori di rango elevato. (70/2011)

Se è in rapporto con la tematica, la funzione di che scrive va precisata

Un consigliere nazionale usa esprimere la propria opinione con articoli sul conflitto del Vicino Oriente, senza tuttavia precisare di essere il presidente dell’Associazione Svizzera-Palestina. Il Consiglio della stampa ritiene che tale sua funzione debba essere menzionata: intanto perché non tutti ne sono a conoscenza, e poi per aiutare alla comprensione del testo, ovviamente opinabile. (2/2013)

Dipendenza da una sola fonte

Uno scambio regolare di informazioni con una fonte sola può rappresentare un pericolo per l’indipendenza di un giornalista. Se per compiacenza verso tale fonte – con la quale si intrattengono rapporti extra-professionali – il giornalista tace determinate informazioni, non può poi richiamarsi al segreto professionale per non dare spiegazioni. Il segreto professionale è da intendere come un aiuto all’informazione del pubblico, non può essere usato a copertura di altre ragioni. (22/2000)

Un osservatore, non un attore

Il compito del giornalista consiste nel dare informazioni, al massimo nel prestare un aiuto umanitario in caso di necessità. Ma i giornalisti non sono agenti di polizia, né spie, né belligeranti, né corrieri di droga. Chi prende parte attiva a un conflitto non è in grado, contemporaneamente, di informare su di esso in modo indipendente. (19 aprile 1990) 

2.1. Libertà di informazione e di commento

«Cani da guardia della democrazia»

Nel caso delle dimissioni del direttore della Banca Nazionale si sono rivelate decisive le rivelazioni di un settimanale. Nel caso, i mass media si sono confermati – quel periodico in particolare, malgrado alcune lacune – nel ruolo di «cani da guardia della democrazia». L’interesse pubblico prevaleva sulla protezione della sfera privata del personaggio. (24/2012)

Misure provvisionali

Le condizioni che avrebbero giustificato il mancato rispetto di un ordine giudiziario non erano date, visto che a quel momento esisteva ancora una possibilità di ricorso legale: tanto più che la pubblicazione poteva essere rimandata. Ma il divieto giudiziario di una pubblicazione non può essere formulato senza previa audizione dell’organo d’informazione in causa, se non in casi eccezionali e di particolare urgenza. In ogni caso, il tribunale doveva ordinare un confronto tra le parti. La norma costituzionale che vieta la censura esclude anche che i giornalisti siano obbligati a mostrare un filmato. Infine, è altamente problematico che un tribunale possa decidere di vietare che si dia notizia di una misura provvisionale: sarebbe un caso di giustizia segreta! (1/1994)

Restrizioni alla cronaca giudiziaria

In democrazia, la pubblicità dei processi è un elemento determinante dell’esercizio della giustizia. Molte procedure penali semplificate e moltissimi decreti d’accusa aggirano questo principio. Per rispettare il compito dei giornalisti in quanto «cani da guardia» della democrazia va facilitato al massimo l’accesso da parte loro agli atti d’accusa, alle sentenze, agli atti d’abbandono, eccetera. L’accredito dovrebbe essere sempre accordato, le condizioni poste dai tribunali all’esercizio della cronaca giudiziaria devono essere decise con il massimo ritegno. (25/2015, decisione del Plenum

Boicottaggio

A un volgare attacco contro un giornale da parte del direttore di una troupe teatrale il giornale non avrebbe dovuto reagire con il boicottaggio dell’informazione. Non riferire, come ci si aspetta da un giornale, equivale a porre un ostacolo alla libertà dell’informazione. Per decidere se pubblicare o no una determinata notizia, la redazione deve lasciarsi guidare da criteri esclusivamente giornalistici. (37/2005)

Il commento che ferisce

Esiste una libertà del commento anche nel caso di un attacco pungente rivolto a un magistrato, purché da chi legge sia riconoscibile come tale e non contenga dati di fatto obiettivamente falsi.  (9/2004)

Il commento non può offendere la dignità umana 

Ai criminali pedofili si dovrebbe amputare il pene, anzi, non ci si potrebbe accontentare di «farli fuori»: occorre infliggere loro una punizione che li faccia soffrire, giorno e notte. Pubblicando esortazioni di questo tipo un giornale oltrepassa la libertà di commento e viola l’obbligo di rispetto della dignità umana. Le leggi giustamente vietano la tortura e i trattamenti disumani come le mutilazioni. La protezione della persona e dell’integrità fisica è iscritta nella Costituzione. (59/2006)

Critica d’arte : libera purché…

Alla recensioni e alle critiche culturali è necessario accordare un ampio margine di libertà. Anche se dura, anche se parziale, una critica può essere compatibile con la «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista», purché i giudizi di valore che esprime siano riconoscibili come tali dal pubblico, non vengano omessi elementi d’informazione essenziali e la persona criticata non lo sia in modo scorretto. (44/2001)

Le caricature di Maometto

Riportare in un giornale caricature contro il profeta Maometto, potenzialmente offensive per i fedeli di religione islamica, è lecito se si tratta di documentare la discussione cui hanno dato spunto. La satira non sopporta interdetti di tipo religioso, né deve tener conto dell’estrema sensibilità dei credenti fondamentalisti. Occorre tuttavia badare al rischio della discriminazione. (12/2006)

La satira dev’essere riconoscibile come tale 

Il pubblico dev’essere messo in grado di riconoscere immediatamente una satira. Esagerazioni o deformazioni non sono da escludere, purché i fatti cui ci si riferisce siano veri. Nessuna tematica è escludibile a priori dal trattamento giornalistico, satira compresa. La sfera privata degli individui è tuttavia degna di rispetto se non prevale l’interesse pubblico all’informazione. I simboli religiosi possono essere utilizzati ma non denigrati o messi in ridicolo. La satira deve avere un fondamento di verità: alterare la verità con una pura invenzione non è concesso e un falso rimane un falso anche se rivestito della libertà della satira. (8/1996 ; 37/2000 ; 55/2009)

Anche per la satira vale la deontologia

Siano inserite o no in una rubrica di satira, se un giornale pubblica accuse gravi contro un funzionario – spingendosi a dire che dovrebbe essere licenziato – il punto di vista della persona criticata va raccolto e pubblicato. La redazione è ovviamente libera di piazzare un articolo dove meglio crede, purché le regole della professione siano rispettate. (10/2000)

2.2. Pluralismo dei punti di vista  

Il dovere dell’obiettività non esiste

La «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» non prevede il dovere dell’obiettività. La libertà di stampa comprende il diritto di parteggiare o di riferire in modo unilaterale. Tuttavia, se a carico di una persona sono mosse accuse gravi, il parere di costui deve essere raccolto (Direttiva 3.8) e la sua posizione riferita adeguatamente. (10/20093/1996)

La libertà del cronista  

I giornalisti dispongono di un ampio margine di libertà anche quando riferiscono di manifestazioni ufficiali, per esempio di un’assemblea di delegati. Per il codice deontologico, riferire da un punto di vista parziale è ammissibile, ed è pure lecito operare una selezione tra gli elementi ritenuti degni di menzione. L’unica condizione è che il resoconto rifletta quel che è accaduto realmente. (57/2009)

La cronaca giudiziaria

L’esercizio della giustizia non è escluso dalla necessaria funzione di critica e di controllo spettante ai media. Ammissibile è addirittura la cronaca di un processo dal punto di vista dell’imputato, purché il pubblico sia sempre in grado di distinguere i fatti dalle opinioni, e delle informazioni riferite nella cronaca sia in grado pure di valutare l’importanza. (17/1998)

Referendum e iniziative

Un giornale non è tenuto a dare lo stesso peso alle opinioni degli uni e degli altri in caso di votazione popolare, e neppure a dare lo stesso spazio ai favorevoli e ai contrari. Purché (attenzione!) non goda di una posizione di monopolio. Si sfiora l’abuso quando, in un inserto allegato che contiene articoli venduti come annunci, si evita di precisare, per esempio, che i testi riprodotti nell’inserto non sono opera della redazione. (13/2014)

2.3. Distinzione tra informazione e commento 

Critica contro una sentenza del Tribunale federale

«La volontà popolare non conta»: è il titolo di un articolo su una sentenza del Tribunale federale che illustra la divaricazione tra il rispetto dell’accordo di libera circolazione sottoscritto con l’UE e l’iniziativa contro l’immigrazione di massa approvata dal popolo. L’affermazione è discutibile e chiaramente riflette la valutazione del giornalista. Il diritto di critica, anche di una sentenza, non si discute: il pubblico dovrebbe però essere messo in grado di capire subito che si tratta di un commento e non di un fatto. (22/2016

2.4. Funzioni pubbliche

L’impegno politico dei giornalisti 

L’appartenenza a un partito politico mette in causa l’indipendenza del giornalista e può determinare un conflitto d’interessi. Se il giornalista occupa una funzione politica – per ragioni inerenti a specificità tipicamente svizzere – alcune regole vanno rispettate: occorre per esempio essere trasparenti sulla funzione che si occupa, ricusarsi in casi di particolare prossimità, precisare senza ambiguità i rapporti di interesse (mandato politico, appartenenza partitica). (7/1996)

Conflitti d’interesse

Il direttore di un giornale ha preso posizione in vari editoriali nel dibattito aperto circa l’introduzione di un grado secondario pre-liceale. Avrebbe però dovuto chiaramente precisare di essere prevenuto, nella questione, essendo presidente di una comunità di interessi di una scuola distrettuale. A causa di tale vicinanza non avrebbe dovuto pronunciarsi, oppure specificare la sua doppia funzione in tutti gli articoli sul tema. (64/2009)

Impegno sociale

Il giornalista è evidentemente libero di assumere una tutela. Ma è intollerabile che abusi di questa sua funzione trascinando il suo giornale in una disputa a proposito di una questione privata. I giornalisti sono tenuti a separare nettamente il proprio impegno sociale personale e la loro funzione professionale. (51/2001)

2.5. Contratti di esclusiva

Parità di trattamento

Un trattamento di favore, l’invito a viaggi stampa, la consegna di materiale informativo e in generale il rilascio di informazioni non devono esser fatte dipendere dal giudizio positivo che si prevede conterrà il servizio. I giornalisti a conoscenza di simili pratiche devono denunciarle alle proprie associazioni e prestare appoggio alle iniziative tese a escluderle. (4/1995)

Cifra 3

3.0.1. Conoscere l’origine delle informazioni

Voci in giro

Dare corda alle voci in circolazione non soddisfa l’esigenza della ricerca della verità da parte dei giornalisti. Che si dia spazio a una voce su un organo d’informazione non legittima un altro a semplicemente ripercuoterla. Se un sospetto si rivela consistente se ne può dare notizia, ma a tre condizioni: che si sappia chi l’ha messo in giro, che la persona messa in causa sia inviata a esprimersi, e che un’eventuale smentita sia pubblicata. (9/2008)

3.0.2. Non sopprimere elementi d’informazione

Un taglio galeotto

Un domenicale rende noto un rapporto confidenziale dell’ambasciatore svizzero negli Stati Uniti, in cui si analizza la situazione della Svizzera di fronte alle richieste delle organizzazioni ebraiche in rapporto con i fondi in giacenza dall’Olocausto. La pubblicazione è sicuramente d’interesse pubblico («Dichiarazione dei diritti del giornalista», lett. a.1 ma il periodico ne ha pubblicato una versione tagliata, impedendo un’adeguata valutazione del documento. Si è trattato chiaramente di una soppressione di elementi d’informazione essenziali. (1/1997)

Una critica dura dev’essere fondata

È certamente consentito a un giornale criticare duramente la decisione di un tribunale, fino a usare termini come «gravi obiezioni contro i testimoni principali» oppure «errore giudiziario». È tuttavia necessario spiegare al lettore su quali elementi di fatto sono fondati giudizi così severi. (14/2006)

3.0.4. Non alterare testi, immagini, opinioni

Sì alla critica, purché fondata su cose vere

Si attribuisce alla Commissione federale contro il razzismo il parere che coprirsi il capo con un velo costituisce per le donne musulmane un precetto religioso obbligatorio. In realtà, la CFR affermava che il porto del velo rappresenta «un comandamento religioso vincolante per le donne interessate» (non dunque tutte le donne musulmane). Criticare la CFR è certamente lecito, però non sulla base di una citazione errata. (2/2011)

Se la fonte è incerta, precisarlo!

Un articolo può anche essere «politicamente scorretto». Quando però la critica è fondata su fonti incerte, al lettore bisogna dirlo: anzi, il giornale dovrebbe prima verificare criticamente la consistenza della fonte. (61/2013)

3.0.5. Se dell’informazione manca la conferma 

Cercare la conferma se possibile

È certamente lecito dare la notizia di un’alternanza di persone a capo di un’impresa. Ma se l’avvicendamento non è stato ancora sancito dall’organismo competente, bisogna precisarlo. Nella misura del possibile, in questi casi si dovrebbe chiedere sempre un comunicato da parte dell’azienda. (6/1996)

3.1. Rapporto con le fonti

Eccezioni alla regola delle due fonti 

Una regola famosa è quella delle «due fonti»: se di una notizia manca la conferma è necessario che almeno due fonti tra loro indipendenti l’abbiano data. Ma non è una regola assoluta, da applicare schematicamente ad ogni caso. Eccezionalmente, un giornalista può basarsi su un’informazione ricevuta da una fonte indiretta e anonima se la conferma la trova in un documento di cui è in grado di verificare nella misura del possibile l’autenticità, oppure se l’ha controllata direttamente con le persone oggetto della rivelazione. Di che tipo siano le fonti dev’essere pure precisato con la massima trasparenza. (24/2012)

Non è lecito agli informatori dare istruzioni sulla pubblicazione

In un caso di responsabilità civile, le informazioni sono state date a un giornale da informatori che, successivamente, chiedevano di non pubblicarle. Ritenendo il fatto d’interesse pubblico, il giornale non tiene conto della raccomandazione. È nel suo diritto: giustamente, però, non cita la fonte. 

Un altro giornale riferisce di una raccolta di firme contro i rumori notturni. La fonte si lamenta che l’articolo non corrisponde precisamente alle sue raccomandazioni. Anche in questo caso il giornale aveva ragione: le redazioni non sono obbligate a tener conto delle istruzioni ricevute da chi le ha informate. (66/2013; 42/2010)

Proteggere l’informatore? 

La protezione di un informatore si giustifica, in generale, se svolge una funzione subalterna, per la quale corre qualche rischio. Ma se l’informazione viene da un dirigente – e addirittura se è un responsabile ad averla data – il pubblico va informato sulla sua identità. Nei casi in cui la riserva si giustifica occorre dare al lettore il massimo di informazioni possibili, perché possa considerare l’importanza della fonte. (39/2003)

Fonti anonime

In via eccezionale è ammissibile rinunciare a dare il nome di un informatore, purché l’informazione sia di interesse pubblico e non esista altro modo per pubblicarla se non garantendo l’anonimato. (6/2001)

Fonti anonime e addebiti gravi

Rivelare un caso di abusi nella gestione di donazioni è possibile solo se al lettore vengono date prove sufficienti per ritenere l’accusa veritiera. Appoggiarsi esclusivamente a fonti anonime, in un caso simile, equivale a sfiorare i limiti della morale professionale. (7/1993)

Ripresa di notizie d’agenzia

L’accusa a un giornalista di avere violato il proprio dovere di negligenza omettendo di verificare la fonte di una notizia non è sostenibile se il giornalista si è limitato a riprendere semplicemente una notizia d’agenzia. (3/1992)

3.2. Comunicati

Testi abbreviati

Se si manda un comunicato a un giornale non si può pretendere che il testo sia riprodotto integralmente. Tagli sono dunque ammessi purché quel che resta sia rispettoso della verità. Non ha senso lamentarsi che è stata tagliata la parte più importante: in questo la redazione è libera. Utile sarebbe comunque precisare la fonte del comunicato, e se sia stato o no riprodotto integralmente. (7/2000)

3.3. Documenti d’archivio

Se l’immagine è simbolica, va precisato

L’immagine è quella di un ragazzo con una pistola in mano. Il titolo del settimanale che la pubblica in prima pagina è: «Arrivano i Rom: razzia in Svizzera ?». Due volte violata la deontologia: associando un’immagine generica ai rom come categoria si commette una discriminazione; omettendo di segnalare che si tratta di un’immagine d’archivio, generica e scattata in un altro contesto, si falsa l’informazione. (59/2012)

Immagine fuori contesto

Informazioni negative contenute in un articolo si rapportano inevitabilmente alle persone ritratte nella foto che lo accompagna. Nel caso specifico è ritratta una persona che manifesta pacificamente in favore della sua religione. Per nessuna ragione la sua immagine è da associare alla critica di quella religione come potenzialmente violenta e contraria all’ordine costituzionale. L’utilizzo di un’immagine scattata in un contesto differente esige il consenso delle persone rappresentate. (7/2011)

3.4. Illustrazioni

Uno scambio indebito

L’articolo si riferiva al suicidio di un cittadino britannico, avvenuto a Zurigo sotto la responsabilità di «Dignitas», associazione di accompagnamento al suicidio assistito. La foto pubblicata riguardava invece un altro cittadino inglese, oggetto di un caso precedente. La redazione ha commesso un doppio errore, falsando l’informazione al lettore e violando il codice deontologico. Le immagini «simboliche», cioè senza rapporto diretto con il fatto narrato, devono essere chiaramente segnalate come tali. (10/2011)

3.5. Sequenze di finzione

3.6. Montaggi

Foto ritoccate

Ritoccare una foto per migliorarne la qualità è senz’altro ammissibile, purché contenuto e significato siano rispettati. Le immagini semplicemente rielaborate devono portare la scritta: «montaggio». (28/2003 ; 28 settembre 1992)

3.7. Sondaggi

3.8. Ascolto in caso di addebiti gravi

Se la persona contro cui è stata mossa un’accusa grave non può essere contattata, la pubblicazione va rimandata se non c’è urgenza.

Durante una manifestazione legata allo sciopero delle donne, due di loro accusano un Consigliere agli Stati dell’UDC di averle spruzzate d’acqua dalla sua finestra e di aver fatto loro dei gesti osceni. Il «TagesAnzeiger» online pubblica questa informazione senza essere riuscito a contattare il politico in questione e in seguito la storia si rivela falsa. Data la gravità dell’accusa e l’assenza di urgenza della pubblicazione, il «TagesAnzeiger» online avrebbe dovuto rinviare la pubblicazione in attesa che il Consigliere agli Stati avesse avuto la possibilità di spiegarsi. (27/2020)

Gli addebiti devono essere concreti

Se in un articolo si muovono addebiti gravi nei riguardi di una persona, non basta che il giornalista prenda contatto con lei avanzando argomenti vaghi. La persona deve essere posta di fronte agli addebiti concreti. (38/2010; 15/2011)

Si interpelli il diretto interessato

Un medico è oggetto di gravi addebiti: il giornalista deve dargli la possibilità di esprimersi. Non basta sentire il parere dei suoi superiori (presidente del consiglio d’amministrazione e consigliera di Stato). Neppure basta che al medico sia data la parola in un secondo tempo. (12/2014)

Se la persona non si trova…

Se non è possibile raggiungere subito la persona oggetto di addebiti gravi, occorre ritardare la pubblicazione, a meno che ragioni serie esigano una pubblicazione immediata. E se, comunque, l’articolo si pubblica, bisogna precisare che la persona in oggetto non è stata rintracciata. (3/2005)

Conferenze stampa, interviste, lettere al giornale 

Se addebiti gravi sono pronunciati durante una conferenza stampa contro terze persone occorre far stato del loro punto di vista divergente. Lo stesso vale per un’intervista o per una lettera al giornale, quando una terza persona sia messa in causa in modo grave. (20/2000; 55/2004; 40/2005)

L’obbligo di dare la parola si limita agli addebiti formulati

Il principio «audiatur et altera pars» significa che la persona messa in causa deve poter rispondere agli addebiti gravi formulati a suo carico. Questo non le dà il diritto a una descrizione completa del suo punto di vista. (3/1996)

Non usare il condizionale

L’uso del condizionale nel caso di addebiti gravi, soprattutto se alla parte interessata non è stata data la possibilità di esprimersi, nuoce alla credibilità dei media. (6/1997)

3.9. Dovere di ascolto: le eccezioni

Comunicati ufficiali

Il giornalista che pubblica un’informazione ufficiale  – potrebbe essere una dichiarazione del governo o una sentenza giudiziaria – non è tenuto a interpellare la persona citata nel comunicato. Tanto più se gli addebiti contenuti non sono una novità. (21/2010; 5/2012)

Documenti ufficiali: ma quali?

Su un periodico si pubblicano accuse pesanti che riguardano un truffatore presunto alla vigilia del suo processo. Si dice che sono desunte da documenti ufficiali, ma si omette di dire quali. Così, però, non va bene: o si precisano le fonti della notizia, oppure si interpella la persona sotto accusa. (57/2010)

Testimonianze scottanti

Eccezionalmente si può prescindere dal principio «audiatur et altera pars» se l’articolo tocca situazioni di estrema delicatezza, come le sevizie, gli abusi o le molestie sessuali. Il rischio è di non poter pubblicare il servizio. Nel caso, però, si deve anonimizzare il tutto: va taciuto non solo il nome della persona inchiestata ma anche quello delle presunte vittime. (10/1997)

Dovere d’ascolto: basta una volta

Una serie di articoli è dedicata alle accuse mosse ai dirigenti di un ufficio federale. Dal momento che le ragioni dell’ufficio in causa sono state esplicitate in un primo articolo, e che tali ragioni sono state citate anche in seguito, non è obbligatorio interpellare ogni volta gli interessati. (23/2008)

Cifra 4

4.1. Inchieste… involontarie 

Un ascolto interessante…

Due giornali riportano, nella rubrica dei pettegolezzi politici, notizie ascoltate per caso in treno. Lecito. Non si era trattato di una registrazione clandestina: tutti i passeggeri potevano udire quel che veniva detto e gli argomenti sollevati erano di interesse pubblico. (76/2012)

Abuso di una conversazione

Il giornalista di un settimanale partecipa al funerale del figlio di uno scrittore deceduto in circostanze tragiche. L’articolo riporta il contenuto di una conversazione privata avuta durante il rito con un’amica del defunto, la stampa non era stata invitata. È un abuso: a quell’amica si sarebbe dovuto dire che le sue informazioni sarebbero potute finire sul giornale. Il giornalista, in casi come questi, ha l’obbligo di chiarire le sue intenzioni. (24/2010)

Informazioni accessibili a tutti: nessun obbligo di identificarsi 

I giornalisti non sono tenuti a identificarsi come tali quando richiedono informazioni accessibili a chiunque. Il giornalista che telefonava la prima volta a una università chiedendo informazioni generali sugli studi non era tenuto a indicare la sua professione, in seguito del resto sui ruoli rispettivi sarebbe stata fatta trasparenza. (63/2009)

Abuso via Internet 

Un insegnante e uomo politico è messo alla gogna su un giornale con l’accusa di aver praticato «avances spinte» nei confronti di un ragazzo di 15 anni su un sito gay. In realtà era il giornalista a provocare il docente, inventandosi un falso profilo. Il Consiglio della stampa ritiene questo modo di agire sleale e ingiustificato: il ruolo di insegnante era già stato revocato al docente dopo un’inchiesta amministrativa e nessun interesse pubblico giustificava l’inganno. (45/2011)

4.2. Ricerche mascherate

Telecamera nascosta

Durante una trasmissione televisiva dedicata all’eccessiva frequenza di interventi di chirurgia estetica, Miss Argovia si presta alla dimostrazione fingendosi paziente presso otto medici consultati uno dopo l’altro, mentre «un’amica» che la accompagna filma i colloqui di nascosto. Sette su otto si dicono disposti a effettuare l’intervento richiesto; a due che successivamente ne faranno richiesta viene concesso di non apparire sullo schermo. Il Consiglio della stampa approva la messa in scena: far conoscere i criteri applicati dai chirurghi per praticare l’intervento era di interesse pubblico. Tali informazioni non si sarebbero potute ottenere diversamente. (51/2007)

Uno scambio di persona accettabile 

Al consultorio della Fondazione Aiuto svizzero per la madre e il bambino si presenta una donna: devo abortire o no? In realtà, si tratta di una giornalista che desidera approfondire il modo di funzionare del consultorio. Il Consiglio della stampa ha ritenuto accettabile lo scambio di persona: era necessario rappresentare nel modo più «autentico» possibile il colloquio. Alla Fondazione, comunque, il giornale ha dato la possibilità di esprimersi ampiamente. Uno scambio di persona è tollerabile se informazioni di interesse pubblico non possono essere ottenute diversamente. (15/2014)

Quando invece non si giustifica

Per dimostrare che una cassa malati si accontenta di formare in modo sommario gli incaricati di procacciare contratti d’assicurazione, un giornalista si fa assumere, firma un contratto di consulente e partecipa alla formazione. Solo in seguito si fa conoscere come giornalista. Ma era necessaria tutta quella manfrina? Di assicurazioni che non badano per il sottile pur di procacciarsi clienti già si sapeva; e le conclusioni si sarebbero potuto trarre anche con una messa in scena meno spettacolare. (58/2009)

Se manca un interesse pubblico preponderante

Una giornalista va in chiesa a confessarsi per poi raccontare sul giornale come una donna moderna si confronta con una simile prassi. Secondo il Consiglio della stampa, manca un interesse pubblico preponderante per giustificare la violazione dell’autenticità e della privatezza dell’atto. La giornalista avrebbe dovuto chiarire le sue intenzioni. (50/2005)

Lealtà anche per una trasmissione satirica

Un canale TV diffonde un’inchiesta sulle relazioni amorose all’interno del parlamento. Per accedervi dice al segretariato della Camera che l’inchiesta è destinata a una televisione neo-zelandese. Il trucco non è giustificato, secondo il Consiglio della stampa, da un interesse pubblico preponderante.  (14/2000)

Interessi a confronto prima di pubblicare

Una rivista per consumatori chiede al Consiglio della stampa di mettere in chiaro le condizioni che giustificano una ricerca nascosta. Il Consiglio, ribadendo le regole vigenti, sottolinea che anche in presenza di un interesse pubblico predominante la redazione non è dispensata dal mettere a confronto gli interessi in gioco prima di pubblicare il materiale raccolto. È possibile giungere alla conclusione, in un caso specifico, che la pubblicazione non si giustifica. (14/2001)

4.3. Informazioni pagate

Secondo le circostanze e la somma pagata…

Dare 200 franchi a un pregiudicato perché accetti di essere intervistato è problematico in quanto, per la sua entità, l’offerta ha sicuramente pesato sulla decisione della persona. In generale, pagare per ottenere un’informazione non è illecito se si tratta, per esempio, di risarcire delle spese. Diverso è il caso se il versamento è inteso a influenzare quello che la persona dirà. (26/2002)

4.4. L’embargo

Embarghi ingiustificati se intesi a influenzare la concorrenza tra i media

Non è più giustificato fissare l’ora dell’embargo per tener conto dei tempi di produzione: per esempio per non danneggiare i giornali rispetto agli altri media. Tutti sono in grado, oggi, di diffondere immediatamente la notizia. Sono invece ancora giustificati gli embarghi legati, per esempio, agli orari d’inizio di una manifestazione o di una conferenza stampa. (52/2010

Embargo a corto termine giustificato

Il dovere di lealtà nei confronti delle fonti obbliga il giornalista e rispettare gli embarghi giustificati, in quanto non abbiano come solo scopo di intralciare la comunicazione. Un embargo si giustifica, per esempio, quando riguarda la comunicazione di licenziamenti non ancora portati a conoscenza del personale interessato. In generale, per il Consiglio della stampa gli embarghi sono degni di rispetto quanto più sono brevi e valide le ragioni per cui se ne chiede il rispetto. (41/2001)

Se non lo si vuole rispettare, bisogna avvertire

Un giornale può anche ritenersi non legato al rispetto di un embargo. Però lo deve segnalare subito a chi lo ha decretato, in modo tale che questi possa avvertire chi fa la comunicazione e gli altri media prima che uno proceda alla pubblicazione (56/2012 ; 57/2007)

4.5. L’intervista

Intervista autorizzata

Le regole del gioco nell’intervista giornalistica dipendono essenzialmente da un principio: quello della buona fede. Tali regole devono essere fissate in anticipo e in linea di principio le dichiarazioni rilasciate devono essere controllate e autorizzate da chi le ha rilasciate. Non sono tuttavia accettabili le correzioni che stravolgono il senso dell’intervista. Non si possono eliminare domande, né inventarne di nuove. Se la deformazione è tale da invertire addirittura quel che è stato detto, il giornalista farà sapere che l’intervista non sarà pubblicata in quella forma, oppure che semplicemente non verrà pubblicata, riservandosi il diritto di rendere il fatto di pubblica ragione. Quando una versione è approvata non la si cambia più. (1/1996)

Avvertire che è possibile la rilettura 

Intervistare un omicida rilasciato e che cerca di farsi una nuova vita: ecco un tema da maneggiare con una certa prudenza. Occorre in ogni caso che la persona intervistata sia d’accordo con il testo dell’articolo, e badare che non gli faccia un torto ancora maggiore. (36/2009)

Conversazioni a tavola

Dichiarazioni fatte da personalità note a giornalisti nel corso di una manifestazione ufficiale sono in linea di principio pubblicabili liberamente, a meno che ci si sia accordati per tenerle discrete. Trasformare una conversazione svoltasi a tavola in un’intervista non è lecito, a meno che le persone in causa abbiano dato il loro consenso. Un’intervista di una certa mole non dovrebbe tralasciare di menzionare l’ambiente o le circostanze in cui è stata effettuata. (43/2001)

Da conversazioni telefoniche a intervista ?

Una ricostruzione delle dichiarazioni fatte nel corso di varie conversazioni telefoniche, presentata come una discussione unica, è possibile se le persone interessate lo accettano: ma il lettore dev’essere avvertito. Così pure, se si vuole trasformare una conversazione telefonica in un’intervista formale, la persona intervistata deve essere d’accordo. (65/2006 ; 61/2004)

E gli allegati ?

Il diritto di rileggere un’intervista rilasciata non comprende il diritto di leggere altri articoli e commenti che la devono accompagnare. (48/2005)

4.6. Colloqui d’inchiesta

Il diritto di rilettura può venir annullato solo se l’autore è completamente anonimo

In via eccezionale, un media può rinunciare a sottoporre una citazione a rilettura. Tuttavia, ciò è possibile solo se l’autore della citazione è reso completamente anonimo, il che è ben lungi dall’essere il caso delle circostanze in questione (65/2018).

Se la chiacchierata dura a lungo

Nel caso di colloqui a scopo d’intervista che durano a lungo, solo le citazioni conservate nel testo dell’articolo devono essere sottoposte all’interlocutore per approvazione, a meno che egli vi rinunci. In ogni caso, occorre spiegare all’intervistato quel che si intende fare del lungo colloquio, poiché possa in ogni momento chiedere di poter rileggere quel che si vuole pubblicare. (30/2002; 67/2004; 39/2015)

Citazioni indirette

Se l’accordo era di pubblicare solo le citazioni autorizzate, pubblicare citazioni indirette senza l’accordo della persona in causa costituisce una mancanza di lealtà. (3/2002)

Quale sarà il tema dell’articolo?

Invitare un tale a parlare di equitazione e prospettargli una futura collaborazione, mentre in realtà l’articolo descriverà l’arte dell’interlocutore di darsi alla bella vita malgrado i molti debiti che ha da pagare, è una violazione del dovere di informare l’interlocutore sull’articolo che si vuole scrivere. Abusiva anche la foto scattata nella circostanza. (39/2006)

Non nascondere lo scopo dell’inchiesta

Un giornale può sicuramente promuovere un’inchiesta per verificare se taluni aiuti sociali non sono concessi troppo facilmente. Ma se interroga una famiglia su questo punto l’obiettivo dell’inchiesta non deve esserle taciuto. (20/2016)

Mantenere gli impegni

Il giornalista va in vacanza prima che un uomo politico intervistato abbia potuto rimettere al giornale le correzioni al testo che gli era stato sottoposto. Il giornale pubblica l’articolo. Errore: il giornalista si era impegnato a tener conto delle osservazioni dell’intervistato e doveva rispettare l’impegno. (3/2007)

Persone poco pratiche di giornalismo…

Una persona poco pratica di giornalismo può anche non sapere che ha il diritto di rileggere le citazioni che le sono attribuite. È dovere del giornalista informarla. (2/2014)

Interpretazione non autorizzata

Fidandosi della dichiarazione di un portavoce, un giornale annuncia l’imminente ritiro del proprietario di una grande banca. Ma le parole del portavoce, non solo sono state fraintese, non erano neppure autorizzate. (30/2008)

In ambito politico le parole contano 

Una responsabile della comunicazione del Partito democristiano, discutendo con i giornalisti durante una sessione delle Camere federali, esprime critiche nei confronti della posizione del Papa circa l’omosessualità, arrivando a prospettare di lasciare la Chiesa. Dichiarazioni riportate da un giornale, senza autorizzazione naturalmente. Il giornalista non ha tuttavia violato le regole deontologiche: una persona che ha delle responsabilità in campo politico, se parla in pubblico, non può meravigliarsi di veder riportate le sue dichiarazioni su un giornale. (50/2006)

4.7. Plagio

Ripresa di una notizia originale

Il giornale che riprende una notizia data in primizia alcuni giorni prima da un altro organo d’informazione senza citare la fonde agisce, secondo la deontologia, in modo sleale. Ciò vale per tutti i casi in cui tale menzione si rivela utile e ragionevole viste le circostanze.  (22/2001)

Se la farina non è del tuo sacco

È sleale il comportamento di una redazione che approfitta delle informazioni raccolte da un giornalista a lei estraneo, di un dossier oppure di un articolo in preparazione, invece di effettuare in proprio le relative ricerche. Ugualmente sleale è chi da tali documenti sottrae informazioni confidenziali trasmettendole a persone interessate. (4/1994)

Se l’articolo è passato ad altri, informarne l’autore 

Un articolo inviato di propria iniziativa al proprio giornale da un docente è «passato» dalla redazione a un altro giornale, dello stesso gruppo, senza dir niente all’autore. È sbagliato, perché lo scrivente avrebbe potuto, se avvertito, opporsi alla pubblicazione in un giornale diverso. (4/2010)

Cifra 5

5.1. Dovere di rettifica

La rettifica dev’essere immediata

Il dovere di rettifica non è rispettato se la redazione che si accorge dell’inesattezza di un’informazione non ne informa il pubblico immediatamente. (8/1998)

In caso di errore grave, anche una rettifica tarda è necessaria

In un rapporto ritenuto di fonte ufficiale si accenna a un lavaggio di denaro sporco in un pensionato per bambini in Romania. Si viene poi a sapere che il rapporto rifletteva solo l’avviso di una privata persona e perciò non aveva carattere ufficiale. Il fatto che lo si sia potuto accertare solo tre settimane dopo la pubblicazione dell’articolo non dispensa il giornale dall’ospitare una messa a punto. (16/1998)

Una lettera al giornale non è una rettifica

I giornali devono correggere immediatamente gli errori che commettono, appena ne hanno conoscenza. La pubblicazione successiva di una lettera al giornale non sostituisce la doverosa rettifica, quando questa sia stata richiesta esplicitamente dalla vittima dell’errore. (38/2005)

L’agenzia rettifica. Ma come?

Se un’agenzia di stampa commette un errore comunicando una cifra inesatta lo deve far sapere a tutti i fruitori dei suoi servizi. Correggere l’errore negli archivi online , come è stato fatto, va bene ma non basta. Occorreva avvertire tutti i media clienti del servizio. (6/2016)

Una rettifica esagerata

Se un giornale commette un’imprecisione pubblicando un dato scientifico in una notizia d’agenzia, si può ritenere sproporzionata la richiesta di pubblicare una rettifica quanto l’errore sia riconoscibile soltanto da una ristretta cerchia di iniziati. (28/2000)

Errore grave e scuse necessarie 

Un giornale sbatte in prima pagina la morte accidentale di un bimbo, deceduto dopo terribili sofferenze per essere rimasto esposto al sole in una tenda da campeggio. In realtà, quel giorno non era particolarmente caldo e la tenda era all’ombra. L’autopsia avrebbe in seguito dimostrato che la causa del decesso era dovuta alle conseguenze di una malattia sofferta dal bimbo, escludendo l’azione del calore. A quel punto non bastava, a giudizio del Consiglio della stampa, che il giornale pubblicasse una breve rettifica in seconda pagina. Quando l’errore giornalistico è di una tale gravità, la rettifica non basta: il giornale doveva chiedere scusa ai genitori. (29 settembre 1987)

Rettifica (anche) online

La rettifica di una notizia pubblicata nell’ediziona a stampa di un giornale deve essere riportata anche online se la notizia originale figurava anche tra le notizie online. (46/2001)

5.2. Lettere di lettori e commenti online

Lettera contenente accuse gravi

Se la lettera di un lettore contiene accuse gravi nei confronti di terzi, il giornale deve verificare l’informazione e, se del caso, dare alla persona interessata la possibilità di pronunciarsi al riguardo. (26/2017)

Nessun obbligo di pubblicazione

Se pubblicare o no la lettera di un lettore è decisione che riguarda la libertà della redazione. Non esiste alcun obbligo di pubblicazione delle lettere del pubblico. È giusto peraltro che le redazioni si mostrino larghe di vedute in merito, anche se lo scritto contiene appunti abbastanza pepati. La redazione deve pubblicare le regole valide per questa rubrica «Lettere al giornale» almeno a intervalli regolari (23/2002)

In caso di monopolio

Un giornale che gode di una posizione di monopolio, o almeno di semi-monopolio in una determinata regione, deve dimostrarsi particolarmente aperto nell’accogliere le lettere al giornale, come pure le reazioni del pubblico. Il discorso pubblico deve rimanere quanto possibile aperto a tutti. (16/2001)

Esclusioni selezionate: no!

Le redazioni non hanno il diritto di escludere definitivamente persone oppure organizzazioni dalla pubblicazione nella rubrica delle lettere (che siano sul giornale oppure online). Il rifiuto di pubblicare i testi emananti da una determinata persona o da un gruppo particolare mette in causa il principio della libertà d’informazione. Ogni decisione di negare l’accesso dev’essere adottata caso per caso. Solo ragioni di particolare gravità giustificano un rifiuto generalizzato. (11/2012)

Attenzione agli scritti discriminatori!

Nell’attuale clima di ostilità nei confronti dell’Islam e dei musulmani, le redazioni devono osservare una particolare vigilanza nei confronti di scritti di lettori dal contenuto discriminatorio, anche solo latente. Il fatto di riceverne molti, di questi scritti, non giustifica che si debbano pubblicare.  Del fenomeno deve occuparsi la redazione, secondo le regole della professione, nelle altre rubriche. (30/2005)

Razzismo

Le lettere di contenuto razzista devono essere cestinate. Quanto più il clima sociale è caldo tanto più importa mostrarsi severi restringendo, invece di lasciar crescere, le tensioni. Il fatto di un afflusso in massa di lettere razziste deve essere trattato nelle rubriche abituali, secondo criteri strettamente giornalistici. (22/1999)

Trasmissione a terzi

Non è conforme a equità trasmettere a un’autorità comunale il contenuto critico di una lettera non pubblicata, dando a questa la possibilità di anticipare la risposta. (24/2001)

Regole particolari per campagne elettorali

Un giornale può darsi regole speciali, per esempio in campagna elettorale. Ma a tali regole non deve poi sottrarsi se gli conviene. (23/2004)

La lettera non si modifica, ev. la si restituisce

Rielaborare, ma anche solo tagliare una lettera ricevuta esige il rispetto dell’etica della comunicazione. Se un lettore ha chiesto la pubblicazione integrale del suo testo, lo si accontenta oppure si restituisce la lettera. E se la vuole di ritorno, la sua richiesta dev’essere rispettata. (15/1998; 18/2004)

Ingiurie da tagliare…

Nell’interesse di un corretto dialogo sociale, le redazioni sono autorizzate a intervenire nel caso di lettere dei lettori contenenti ingiurie. Passaggi contenenti offese all’onore possono essere stralciati. È preferibile utilizzare queste possibilità che semplicemente rifiutare la pubblicazione. (23/1999)

Errori palesi

È lecito rifiutare la pubblicazione di lettere contenenti affermazioni erronee. Anche dopo pubblicazione, se una redazione constata che una lettera conteneva dichiarazioni manifestamente false, può riprendere l’iniziativa per rettificarla. (9/2000)

Diritto di risposta

Il diritto di risposta è regolato dalla legge. Una semplice lettera alla redazione non lo sostituisce, a meno che il richiedente abbia dato il suo consenso prima della pubblicazione. (31/2000)

5.3. Firme online

Lettere anonime

Una lettera anonima può essere pubblicata solo se l’origine ne è stata accuratamente verificata. Il testo va caratterizzato in modo tale da garantire l’anonimato degli autori e al contempo di permettere ai lettori di giudicarne l’autenticità e il significato. (3/2017)

Come le lettere al giornale, i commenti online devono in linea di principio essere firmati 

Le identiche norme deontologiche si applicano a tutti gli interventi dei lettori, siano pubblicati sul cartaceo oppure online. Che conta è il contenuto, non la forma della pubblicazione. Di regola, i commenti online devono essere firmati come l’ordinaria corrispondenza dei lettori. Ugualmente, la pubblicazione di un commento anonimo è lecita se si tratta di salvaguardare interessi meritevoli di protezione (vita privata, protezione della fonte). Sarebbe invece esagerato chiedere che siano firmati tutti gli interventi in un forum di discussione, dove vige l’immediatezza e la ricerca della spontaneità. Il moderatore deve tuttavia assicurarsi preventivamente che non si abusi dell’anonimato per diffondere commenti diffamatori o discriminatori. (52/2011)

Cifra 6

6.1. Il segreto redazionale

Non rivelare le fonti

Il giornalista cui viene intimato di rivelare le sue fonti ha il dovere di opporsi categoricamente. I media non toccati da una simile ingiunzione devono far conoscere all’opinione pubblica il tentativo di violazione del segreto professionale. Neppure il sospetto di detenzione di documenti segreti giustifica una perquisizione al domicilio del giornalista. (2/1995)

Il tema dev’essere di interesse pubblico

Il segreto professionale è importante quando sono in gioco temi di pubblico interesse. Nel caso specifico, era necessario proteggere l’anonimato di una prostituta per indurla a esprimersi apertamente. La sua testimonianza aveva valore di interesse pubblico, nel caso specifico per dimostrare quanto pericolosi siano i rapporti sessuali non protetti per il contagio da AIDS. (21 luglio 1987)

6.2. Eccezioni

Cifra 7

7.0. Mai accuse anonime o infondate!

Se si tratta di voci…

Può essere opportuno segnalare tensioni in atto dentro un gruppo parlamentare basandosi su fonti anonime. Il giornalista ha tuttavia il dovere di verificare tali informazioni e di offrire la possibilità di esprimersi a chi è messo in causa. Ciò anche se non si tratta di addebiti gravi nel senso della Direttiva. (16/2005)

Una tesi non è un fatto

È inammissibile far passare per fatti delle semplici tesi, soprattutto se i lettori non hanno la possibilità di verificare quanto siano basate su fatti inconfutabili oppure su valutazioni sulla scorta di fragili indizi. (27/2001)

7.1. Protezione della vita privata

Internet e reti sociali

Sempre più numerose sono le persone che mettono in rete informazioni e immagini di natura privata. Non per questo i media devono ritenere che tali persone rinuncino senz’altro alla protezione della loro sfera privata. Non è dunque lecito rilanciare semplicemente quel che si trova in Internet o nei social media. Va considerata la personalità dell’autore (nel caso, un uomo politico) e il contesto nel quale sono state messe in rete informazioni di quel tipo. (43/2010; 34/2015)

Se in rapporto con l’evento, lecita la foto se tratta dal sito

Un motociclista muore in uno scontro frontale. È lecito illustrare la notizia con immagini tratte dal sito web della persona, appassionata di moto? Sì, risponde il Consiglio della stampa. Pure lecito mostrare la foto della vittima ornata di fiori per iniziativa dei congiunti. (35/2008)

I vizi privati di un’impiegata comunale 

Un giornale pubblica le foto tratte da un sito in cui un’impiegata comunale si mette in scena come «schiava sessuale» e fornisce elementi che ne permettono l’identificazione oltre una cerchia ristretta. Il Consiglio della stampa ha dato torto al giornale. La pubblicazione non pare avere altro scopo che titillare la curiosità morbosa. E un’impiegata comunale ha come tutti diritto al rispetto della sua sfera privata. (2/2010)

Diritto alla propria immagine

Anche l’attività professionale è compresa nella sfera privata riservata, a meno che un interesse pubblico preponderante sia dimostrato. Ritrarre senza permesso un commerciante all’opera nel suo negozio è illecito, e non sarà il trattino che ne nasconde il viso a legittimare la pubblicazione. (23/2013)

Per fotografare chiedere il permesso

A meno che lo giustifichi un interesse pubblico preponderante, i giornalisti non sono autorizzati a fotografare persone senza il loro consenso. Se la foto è intesa a illustrare un tema contenuto in un articolo occorre badare a non offendere la dignità delle persone ritratte. (41/2000)

No, se il contesto è sfavorevole

A meno che lo giustifichi un interesse pubblico preponderante, non è lecito rendere riconoscibile una persona nella foto allegata a un articolo se il contesto le è sfavorevole. Il consenso a essere fotografata dato due anni prima non può essere ritenuto valido per sempre. (12/2002)

Foto di manifestazioni

Chi partecipa consapevolmente a una dimostrazione in luogo pubblico in favore di una certa causa deve aspettarsi che i media pubblichino una foto in cui egli sia riconoscibile. In tali circostanze il giornalista non ha bisogno di chiedere il permesso di fotografare o di filmare. (50/2001)

Riprese con il teleobiettivo
Scattare foto con il teleobiettivo per illustrare la scena di un traffico di droga non è illecito, in quanto il luogo sia pubblico e l’intento del giornale non sia di indicare precisi individui come implicati nel giro. La stessa cura che si ha di non rendere identificabili gli agenti di polizia vale per tutte le persone colte dall’obiettivo del fotografo. (21/1999)

Smentire una diceria, con misura

Può essere necessario riferire una diceria se si tratta di smentirla. Ma la smentita dev’essere fatta con misura, per evitare di dare una risonanza eccessiva a un sospetto infondato. (12/2003)

La sfera intima delle celebrità

Alle celebrità e ai politici importanti spetta indicare, con il loro stesso comportamento, in quale misura sono disposti a esporsi alla curiosità dei media. In nessun caso una totale rinuncia alla protezione della loro sfera intima può essere dedotta semplicemente dalla loro cortesia verso i giornalisti. (52/2006; 42/2000; 30/2014)

«Chattare» dall’ufficio è un affare privato

Un magistrato scambia «chat» di contenuto sessuale con una donna durante le ore d’ufficio. Il giornale che pubblica la notizia aggiunge che, segnalata dal medesimo, la donna sarebbe stata fermata dalla polizia. Sarebbe stato giusto pubblicizzarlo – dice il Consiglio della stampa – ma non è stato provato. Per tutto il resto, le scambino o no dall’ufficio, le «chat» rimangono un fatto privato. (23/2016)

La vita privata degli amici politici

Non è giustificato pubblicare senza la loro autorizzazione dettagli della vita privata degli amici di una donna in politica, se le rivelazioni non sono in rapporto con l’incarico che essa riveste. Se poi risulta che la persona è stata indotta a parlare al giornale dalla minaccia che l’articolo sarebbe uscito comunque non è possibile argomentare che aveva dato il suo assenso alla pubblicazione. (36/2001)

Ascolto clandestino di una telefonata

I membri della famiglia reale inglese non possono pretendere di tenere tutto nascosto della loro vita privata. Ma la diffusione di una conversazione telefonica registrata a loro insaputa è illegale e i media che la rilanciano contravvengono all’etica professionale giornalistica. (4/1993)

Quando, eccezionalmente, può essere rivelata la sfera intima

Può esserci interesse pubblico nel conoscere le ragioni che hanno indotto una donna in politica a dare le dimissioni, anche se è in gioco la sfera intima della persona in causa. Ma se ne deve parlare solo nella misura in cui non possa essere spiegata altrimenti la ragione delle dimissioni. (2/1993)

Se non c’entra con la sua funzione pubblica…

Nella misura in cui non influenza l’esercizio della sua funzione pubblica, non deve interessare i media la vita privata di una comandante della polizia cantonale. Interesse pubblico e curiosità del pubblico non sono sinonimi. (18/2009)

Sfera privata e aiuto sociale 

Una persona conserva il diritto alla protezione della sua sfera privata anche se gode di un aiuto pubblico. L’interesse preponderante si riferisce all’aiuto che riceve non l’identità della persona, rivelata in un articolo e con una foto. La foto, poi, era soggetta ad autorizzazione dell’interessata nella misura in cui risultava chiaramente riconoscibile. (23/2014)

In campagna elettorale

Il candidato a una funzione elettiva non può far valere la protezione della sua sfera privata allo stesso modo di un cittadino comune, specie in campagna elettorale. Ma le informazioni che lo riguardano devono avere uno stretto rapporto con la funzione politica che si appresta a rivestire. (32/2003)

Filmare qualcuno sulla porta di casa?

Chi riveste una funzione pubblica ed esce di casa per andare a una manifestazione non può impedire che lo si riprenda con una telecamera. Ma proprio sull’uscio, pressandolo da vicino, dopo che ha spiegato che non vuole rilasciare dichiarazioni ed essere filmato? Può essere eccessivo! (22/2013)

Interviste ad adolescenti

È certamente lecito raccogliere le dichiarazioni di adolescenti tra i 12 e i 14 anni senza chiedere il permesso ai genitori, purché siano in grado di descrivere i propri comportamenti in modo adeguato. Insistere con una ragazza che ha rifiutato di rispondere al telefono con una nuova telefonata al suo domicilio è invece a una molestia. (8/2007)

La foto sulla tomba

L’ornamento di una tomba in un pubblico cimitero fa parte della sfera privata dei congiunti della persona defunta. Riprendere la foto di un ragazzo deceduto e venderla ad altri media rappresenta una violazione di particolare gravità della deontologia giornalistica. (1/2010)

Non dare senza motivo l’indirizzo privato

È preferibile astenersi dal precisare l’indirizzo privato senza necessità, anche se in causa è una persona che ha preso posizione in pubblico. (10/2007; 69/2011)

Se il domicilio è conosciuto

Non ha violato la «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» il giornale che pubblica la foto del domicilio di un uomo politico famoso. La foto era già uscita su altri media e l’indirizzo figurava sugli annuari comuni. Inoltre, proprio del suo domicilio si parlava nell’articolo. (45/2012)

7.2. Identificazione

Menzione nel registro di commercio

Anche se è sospettato di truffa, un gerente patrimoniale che non esercita alcuna funzione specifica di responsabilità, non è un personaggio pubblico. La menzione della ragione sociale della sua impresa è sufficiente per mettere in guardia potenziali investitori e la sua identità non deve quindi essere rivelata. Inoltre, la menzione di un nome nel registro di commercio non è una giustificazione sufficiente per la sua menzione in un prodotto mediatico (16/200936/2017)

Troppi dettagli non essenziali violano la tutela della privacy 

Un’inchiesta nel vicinato a seguito di un caso criminale è giustificata. Tuttavia, occorre prestare attenzione al rischio d’identificazione di un presunto colpevole, evitando di pubblicare informazioni non essenziali per la comprensione del caso. (17/20136/201812/2018)

Il suicidio del co-pilota

Nel marzo del 2015 un aereo della compagnia Germanwigs si è schiantato sulle Alpi francesi. È stato il co-pilota a provocare la tragedia, nella quale 149 persone hanno perso la vita. Con il suo gesto egli era diventato, per i media, un personaggio pubblico, ed era giusto farne il nome. Secondo il Consiglio della stampa, il diritto del pubblico all’informazione giustificava in quel caso la violazione della sfera privata dell’autore del gesto. (42/2015)

Un assassino e i suoi congiunti

Anche un assassino e i suoi congiunti hanno diritto alla protezione della sfera privata quando si giunge al processo, per quanto orrendo sia stato il delitto. In linea di principio si dovrebbe evitare di dare i nomi. Lo stesso vale per l’autore di un reato spettacolare. (3/2003; 62/2012)

Evitare le informazioni non indispensabili

I giornali danno il nome di famiglia del sospettato di un assassino, aggiungendo indicazioni sulla notorietà scientifica del sospettato. Secondo il Consiglio della stampa, era legittimo rivelare il legame familiare; discutibile invece fornire informazioni sulla sua attività professionale, che hanno esteso senza motivo l’ambito della sua riconoscibilità. (22/2010)

Anche se l’ha dato la polizia…

Che il nome e la foto di una persona sospettata di omicidio li abbia dati un’autorità giudiziaria non dispensa i media dall’interrogarsi circa la compatibilità della pubblicazione con la «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista». (30/2009; 8/1994)

Se il nome l’hanno dato i media esteri… 

Non ha senso tacere il nome nelle cronache su un crimine se lo ha già dato la stampa estera diffusa anche in Svizzera. (6/2003)

Identificazione legittima

Un padre è ricercato dalla polizia dopo essere fuggito all’estero portando con sé la figlia, dopo aver terrorizzato la madre. La donna ha il coraggio di testimoniare a viso scoperto. Dare il nome in questo caso è legittimo – anche se ai parenti può spiacere – perché può essere utile alla ricerca del fuggiasco. (12/2008)

Una testimonianza unilaterale 

Raccogliere una testimonianza unilaterale (cioè senza rispettare il dovere di sentire l’indiziato) è legittimo se si tratta di reati commessi nella sfera sensibile dell’abuso sessuale. Bisogna tuttavia evitare che l’autore sia identificato. (3/2009; 36/2006)

Inchiesta su un indiziato

Un’inchiesta sui trascorsi di un prevenuto non è contraria al rispetto della presunzione di innocenza. I particolari che permettono di identificarlo dovrebbero tuttavia essere limitati allo stretto necessario perché il lettore capisca di che si tratta. (17/2013)

Figlio di un padre famoso

Se non è dato un interesse pubblico preponderante, non è lecito rivelare l’identità del figlio di un politico facendo il nome del padre, a meno che il genitore non sia implicato nel caso su cui si riferisce. (53/2006)

Notorietà passata

Non è giustificato dare nome e biografia di un padre in conflitto con suo figlio solo perché è stato a suo tempo un alto ufficiale e un uomo politico importante. Tra quelle sue funzioni e l’attuale conflitto famigliare non esiste infatti alcun rapporto. (61/2007)

Voci

In paese si vocifera circa l’utilizzo clandestino del prodotto di una piantagione di canapa. Ma il nome del contadino non doveva essere dato, anche se cinque anni prima era stato condannato perché coltivava piante ad alto tenore di THC. (33/2009)

Protetto contro se stesso 

Che la persona accetti di testimoniare a viso aperto non dispensa i media dal valutare quale sia l’interesse pubblico del gesto a confronto con la protezione della sua privacy. Il personaggio ha valutato male le conseguenze possibili del suo atto, dire chi sia non è importante al punto di escludere che debba essere protetto nel suo interesse. (9/2007; 26/2014)

Protezione insufficiente

Dare il nome, poi l’iniziale del cognome, dire dove abita e pubblicare la foto appena ritoccata da una strisciolina: questo sarebbe proteggere l’identità di una persona? Il Consiglio della stampa è del parere che la deontologia non la si difende in questo modo. (14/2013)

Nome e iniziale del cognome: così no! 

La menzione del nome seguita dalla lettera iniziale del cognome espone la persona all’identificazione da parte di troppe persone. Meglio utilizzare un nome di fantasia, soprattutto se nella cronaca di un processo. (11/2009)

Particolari inutili a comprendere il caso 

Accusato di appropriazione indebita, pur non citato per nome, un tale è risultato riconoscibile grazie all’indicazione del luogo di domicilio. Era pure sbagliato aggiungere che si trattava di un appassionato dirigente di un’associazione sportiva, il particolare non avendo alcun rapporto con il reato di cui lo si sospetta. (1/2012)

Tifoso maldestro

Un tale va a una partita importante con un petardo, che gli esplode in mano: tre dita amputate. Il fatto merita certo di essere menzionato. Ma tutti quei particolari sulla sua vita privata e professionale lo espongono al riconoscimento e al pettegolezzo in maniera eccessiva. (3/2012)

L’agente smascherato

L’identificazione di un agente in servizio si giustifica se il reato di cui è imputato è in rapporto con la sua funzione pubblica, tanto più se egli occupa una posizione gerarchicamente importante. (54/2008; 7/2005; 50/2012; 6/1999)

Identificazione giustificata

Un settimanale rivela l’identità di agenti di polizia operanti in incognito nell’ambito di un’inchiesta per falsificazione di documenti. L’identificazione si giustifica perché, anche se è attivo nella zona grigia delle inchieste mascherate, un pubblico funzionario ha il dovere di comportarsi in modo impeccabile e conforme alla legge. Se non lo fa, la sua identità può essere rivelata ed esposta alla critica. (59/2009)

Gli abusi del reverendo

Un ecclesiastico pubblicamente esposto in un procedimento per atti contro la morale può essere citato per nome, anche se non occupa una posizione di rilievo, anche perché i suoi superiori gerarchici l’hanno già fatto. (4/2003)

Giornalisti sull’orlo del licenziamento

Se un giornale si appresta a licenziare dei collaboratori occorre essere prudenti quanto all’identificazione dei giornalisti minacciati, visto la decisione non è stata ancora presa. Diverso potrebbe essere il caso quando si profila il licenziamento di un responsabile. (5/2004)

L’insegnante sotto inchiesta

L’identificazione di un insegnante sotto inchiesta penale non è giustificata se non riveste una funzione di particolare responsabilità. Il rischio che altri insegnanti potessero venire sospettati non giustifica la menzione del nome, se tale rischio poteva essere evitato mettendo in atto qualche altro tipo di prudenza. (2/2003)

Il perito della clinica

Non è di interesse pubblico a conoscere l’identità dell’autore di una perizia clinica. È la clinica come istituzione che si addossa la responsabilità del giudizio. (31/2014)

Consulenze di borsa

È lecito citare il nome dell’editore di un bollettino di consulenza borsistica in un articolo che si occupa di proposte di investimento influenzate da legami di interesse. Il fatto che il cognome sia indicato nella ragione sociale dell’impresa priva di senso il richiamo alla protezione della sua sfera privata se un giornale lo cita in rapporto con la sua attività professionale. (58/2012)

Cassiere ma di una società locale

Benché le critiche che gli si rivolgono siano in rapporto con la sua funzione, non era il caso di dare il nome del cassiere di una società locale. I vicini l’avrebbero senz’altro riconosciuto anche senza, i lontani non è importante che sappiano chi sia. (73/2013)

Beghe di vicinato

L’estendersi di una polemica consecutiva a una bega di vicinato non giustifica che uno dei protagonisti sia citato con nome e cognome, a meno che la citazione aggiunga un elemento originale alla discussione. (25/2008)

Il sito è pubblico, chi l’ha creato pure

Il creatore di un sito online che stimola la partecipazione del pubblico è una persona pubblica. Se un giornale ne dà il nome e altri particolari che lo riguardano non può essere accusato di violare il suo diritto alla privacy. (56/2004)

7.3. Minori

Per proteggere i bambini, non identificare una famiglia

Nella denuncia del cattivo funzionamento di un ufficio per la protezione dei minorenni è meglio non citare la famiglia oggetto dei provvedimenti criticati, anche se i genitori sono d’accordo. Prevale la necessaria protezione dell’identità dei bambini. Peggio ancora sarebbe dare anche il nome del bambino in causa! (52/2013; 6/2009)

I legami di parentela di un magistrato

È di interesse pubblico precisare che una giudice è la madrina di una delle figlie di una sua importante collaboratrice, l’informazione essendo utile al pubblico per valutare il legame di prossimità tra le persone, e non la si può considerare lesiva della vita privata della ragazza, in quanto mantenuta in termini generali. (15/2012)

7.4. Cronaca giudiziaria. Presunzione di innocenza

Ma è definitiva?

È indispensabile, in una cronaca giudiziaria, precisare se la sentenza è definitiva oppure esistono ancora possibilità di ricorso. (40/2010

Dire che uno è prevenuto colpevole non viola la presunzione di innocenza

Pubblicando un’inchiesta su un prevenuto colpevole, il dovere di rispettare la presunzione di innocenza non impedisce al giornale di esprimere un giudizio. Nella misura in cui il lettore capisce che quel tale non è ancora condannato la regola deontologica è rispettata. (17/2013)

Titoli e locandine

È violata la presunzione di innocenza se in un titolo, o nella locandina, si scrive che è il tale ad aver commesso l’atto delittuoso. (61/2003; 31/2015)

7.5. Diritto all’oblio

Un diritto non assoluto

Le persone condannate hanno diritto all’oblio, così pure le persone assolte da un’imputazione. Ma i media sono legittimati a violare questo principio se esiste un interesse pubblico predominante a esigerlo e siano rispettate le proporzioni. Vale nel caso particolare, perché vi era rapporto tra un caso del passato e l’attuale attività sociale o professionale della persona. (22/2008; 47/2005)

Criminale famoso

È sulla bocca di tutti il nome di un pedofilo di cui si sono occupate le cronache di tutto il Paese. Le sue gesta criminose hanno fatto di lui un personaggio pubblico. È pertanto lecito riparlare della sua vita privata, anche dopo quindici anni dalla condanna. (48/2013)

7.6. Non luogo a procedere, assoluzione, caso archiviato

Prestare costante attenzione agli sviluppi di una vicenda

Predicatore laico e controverso fondatore di un movimento religioso, è condannato in primo grado per discriminazione razziale. Questa condanna viene ampiamente riportata dai media, ma in seguito il tribunale cantonale dei Grigioni lo assolve in appello. La maggior parte di questi stessi media omette d’informare riguardo a tale sviluppo, il che è del tutto inammissibile. (52/2019)

L’assoluzione sottaciuta. 

Se si monta un caso giudiziario occorre tenere alto il livello dell’informazione fino alla conclusione. Che finisca in un’assoluzione o in non-luogo-a-procedere non è una buona ragione per lasciarlo cadere. (7/1997)

Rispettare le sentenze!

Viola il dovere di rispetto della verità il giornale che, riferendo di una condanna penale annullata dal Tribunale federale con rinvio alla Corte precedente, dà senza ragione l’impressione che con tutta probabilità la corte cantonale non manderà tuttavia assolto il prevenuto. (28/2002)

7.7. La sfera sessuale

Proteggere l’identità

Si dà a torto il nome del sospettato di una violenza sessuale. È vero che era stato chiamato in causa in una cronaca di alcuni anni prima: ma in un altro contesto. Altri media riconoscono chi è la vittima e ne danno il nome. Il Consiglio della stampa ricorda che i nomi delle vittime di reati sessuali non devono essere dati. (41/2011)

Evitare il rischio di identificazione

Le vittime di casi pertinenti alla sfera sessuale devono essere protette contro ogni rischio di identificazione. Ogni particolare del caso suscettibile di rendere la vittima riconoscibile – in quanto, per esempio, in relazione con altri casi – deve essere taciuto. (48/2007)

7.8. Vittime di incidenti, malattie, guerre

Una foto di bambini morti può essere degna di venir pubblicata

Ci sono casi in cui l’interesse pubblico per un documento di storia contemporanea, come ad esempio una fotografia che ritrae la crudeltà della guerra nei confronti dei civili, deve essere anteposto alla protezione della sfera privata delle persone ritratte e dei loro parenti. Inoltre, nel caso specifico il padre dei bambini morti era manifestamente d’accordo con la realizzazione di questa immagine, molto dignitosa. (30/2018)

I ragazzi del pullman 

Ventotto persone di nazionalità belga, in maggioranza bambini, sono periti a bordo di un torpedone schiantatosi in Vallese. Le immagini di alcune delle vittime, ritrovate su Internet o riprese dai ritratti esposti durante i funerali in Belgio, sono pubblicate da alcuni settimanali in Svizzera. Il Consiglio della stampa lo ritiene una violazione della deontologia, perché spettava ai congiunti autorizzare o di negare la pubblicazione, e non sono stati interpellati. (73/2012)

Incidenti mortali 

Se la vittima di un incidente stradale non è una persona pubblica meglio rinunciare a citarla per nome, a pubblicarne la foto o a fornire altri elementi di identificazione. (18/2012; 41/2007; 46/2005)

Il bambino perito nell’incidente 

Senza autorizzazione esplicita dei genitori non si deve dare il nome di un bambino vittima di un incidente, né pubblicarne la foto. I familiari e i parenti non devono figurare sulla foto dei funerali. La famiglia della vittima non deve essere importunata. (70/2012)

7.9. Suicidio

Un suicidio e il dibattito sulle armi 

Il parente di un politico noto, fautore del mantenimento dell’arma d’ordinanza a casa, si toglie la vita usando una di queste armi. Poiché in relazione con una pubblica discussione sul tema, il caso può essere riferito. (47/2009)

Il luogo maledetto 

Può essere d’interesse pubblico una ricerca su una località citata come il luogo scelto per i suicidi, soprattutto se il servizio si riferisce a una pubblica discussione circa i mezzi architettonici più adatti per negare al luogo la sua sinistra qualifica. (20/2006)

Particolari eccessivi

Niente da dire sulla moda dei «kit del suicidio» che si diffonde negli Stati Uniti, cioè sulla vendita di un pacchetto che contiene tutto il necessario per togliersi la vita. Ma è eccessivo entrare nei particolari del modo di usare quel materiale e sui vantaggi che si offrono a chi ne fa uso. (8/2012)

Notorietà limitata

Non perché una famiglia è nota bisogna pubblicare nome e cognome di tutti quanti i suoi membri. Il suicidio di uno di loro vivente all’estero non è d’interesse pubblico. (51/2004)

Documentario su un suicidio assistito

Un documentario descrive l’ultimo mese di vita di un medico sofferente di una malattia mentale, che si fa assistere da Exit per togliersi la vita. Il defunto e le persone che lo accompagnavano in quella fase terminale hanno accettato di essere ripresi. Il tema è d’interesse pubblico, l’assistenza al suicidio è oggetto di discussione. Il Consiglio della stampa non ravvisa nel caso una mancanza di rispetto della sfera privata. (35/2011)

Cifra 8

8.1. Rispetto della dignità umana

Rispetto anche per il dittatore

Un dittatore non perde il diritto al rispetto della propria dignità. La pubblicazione di una serie di foto e la proiezione di video sensazionali sulla morte violenta di Gheddafi – dice il Consiglio della stampa – sono serviti solo alla curiosità del pubblico. Un avvenimento storico non diviene tale perché lo si esibisce per il pubblico da varie angolature e con effetti di zoom. (2/2012)

… e anche per il terrorista

Anche la foto della testa mozzata dell’autore di un attentato terroristico suicida rappresenta una lesione della dignità umana: dell’attentatore, ma anche delle vittime del suo gesto. Nella misura in cui l’articolo che accompagna la foto non racconta il caso particolare di quell’attentato, lo scopo della foto appare soltanto quello di impressionare i lettori. (15/2005)

Morire in primo piano

Lede gravemente la dignità della persona e manca al rispetto dovuto alla sua sfera personale pubblicare la foto ingrandita di un giovane in fin di vita a seguito di un incidente. (25/2000)

Le vittime come spettacolo

Un incidente sul lavoro a Manila è mostrato da un tabloïd con la pubblicazione di una fotografia impressionante per la posizione in cui si notano i corpi delle vittime. Niente invece si dice dell’incidente. È evidente la lesione della dignità delle vittime, la foto serve solo per impressionare il pubblico. (33/2011

Compiacimento malsano

Fotografie scattate dalla polizia sul luogo di un crimine commesso nottetempo sono pubblicate senza autorizzazione. Non è solo un abuso: è indice di un malsano compiacimento esporre senza riguardi le vittime alla curiosità pubblica, in quanto lesivo della sua dignità e di quella dei suoi parenti. (62/2010)

Valore informativo

Un quotidiano mostra in prima pagina l’immagine dell’autore di un attentato, il quale, dopo che con un islamista suo complice ha decapitato un militare, si asciuga le mani insanguinate, il coltello e un’ascia. La foto è semplicemente obiettiva, senza compiacimento, e documenta come sia stato possibile commettere in pieno giorno e per strada il crimine descritto nell’articolo. Si può dunque parlare di complemento dell’informazione e di un servizio al pubblico. (47/2013)

Incollato al muro

Càpita anche questo, che una madre si diverta a «fissare» con della colla il suo bambino al muro, e poi diffonda l’immagine su Internet. La giustizia l’ha condannata. La foto pubblicata da un quotidiano lede la dignità del piccolo senza aggiungere niente all’informazione. (9/2011)

8.2. Quando è discriminazione

Le discussioni da bar non sono fonti attendibili

Affermare che i richiedenti asilo rubano merci basandosi solo su chiacchiere da bar senza la conferma di nessuna fonte ufficiale, viola il dovere di ricerca della verità nonché il divieto di discriminazione. (21/2017

Solo se si generalizza

Un giornale sottolinea, usando il neretto, la nazionalità serba di un giovane autore di un crimine particolarmente efferato. Con ciò intende criticare le debolezze nella repressione dei criminali stranieri. Nella misura in cui la notizia si limita al caso specifico non è discriminatoria: lo sarebbe se insinuasse che tutti i giovani di nazionalità serba sono degli assassini. (55/2011)

La discriminazione dev’essere forte

Riferendo delle ultime tendenze della moda estiva milanese, un giornale usa due aggettivi per descrivere un particolare della sfilata : «cool» e «schwul». «Schwul» in tedesco significa omosessuale. Perché omosessuale? Per il modo di camminare dei modelli, che al cronista non piace. Si tratta di un apprezzamento del giornalista, non di una sottolineatura della differenza tra omossessuali e non-omosessuali. Il Consiglio nega perciò che si tratti di discriminazione, per la quale si intende un giudizio morale di relativa gravità. (22/2011)

Termini spregiativi

Non ogni descrizione spregiativa di un gruppo o di un individuo deve essere considerata discriminatoria o degradante. Il Consiglio della stampa non vuole essere il tutore del «politicamente corretto»: per violare le regole della deontologia l’insulto deve essere di particolare gravità. (15/2013)

«Kosovaro dei rifiuti» 

Dare del «kosovaro dei rifiuti» a un cittadino straniero che, per protesta, accumula rifiuti nel suo giardino non è discriminatorio. La definizione riguarda una persona singola, non un gruppo nazionale nel suo insieme. (1/2011)

«Come cinghiali»

È discriminatorio descrivere un gruppo sociale o una determinata etnia come una muta di cinghiali. L’abuso della metafora animale, come il riferimento al colore della pelle, alla religione, al sesso o all’orientamento sessuale, fa parte da sempre del tentativo di avvilire un gruppo sociale. Si pensi ai topi o ai vermi, che per definizione possono essere eliminati. Anche i cinghiali possono esserlo, del resto. (49/2013)

Tirate discriminatorie

Al Consiglio della stampa giunge la protesta contro due articoli satirici di un giornale. La risposta distingue: il primo, in cui si dice che tutti gli asiatici si assomigliano, non si può dire spregiativo. Il secondo invece, in quanto riflette pregiudizi generici contro particolari gruppi nazionali, viola le norme della deontologia. (77/2012)

Una foto indebita

È capitato che un allievo di sedici anni ha forzato un compagno – un giovane africano – a compiere atti sessuali. Il giornale pubblica la notizia insieme con la foto generica di un ragazzo di colore. Non solo così si manca di rispetto alla verità ma si commette discriminazione. (53/2008)

Generalizzazione abusiva

È da evitare l’uso del termine «negri» citando una statistica in margine a un processo per traffico di stupefacenti. La generalizzazione può alimentare i pregiudizi contro le persone di pelle scura. (13/2006)

Titolo e foto fuori posto

Una foto d’archivio in prima pagina, in cui si vede un ragazzo rom con un’arma da fuoco in mano, e vicino un titolo: «Arrivano i rom». Per il Consiglio della stampa si tratta di una generalizzazione abusiva in quanto la foto originale non si riferiva a un contesto criminale. Il titolo, poi, attizza i timori e i pregiudizi contro un gruppo etnico in generale. (59/2012)

Gli zingarelli che rubano

Non è discriminatorio l’articolo che tratta dello sfruttamento dei giovani rom istruiti a medicare e a rubare, nonché dell’incapacità delle autorità penali di mettere le mani su chi tira i fili. L’articolista appare infatti attento a non attribuire sommariamente alla gente rom la cultura dell’illegalità. (32/2014)

Critiche a Israele

È lecito interrogarsi sulla politica promossa da uno stato – nel caso, Israele – in materia di educazione scolastica, criticando le immagini, retrograde secondo l’autore dell’articolo, veicolate dai manuali scolastici. La critica investe soltanto i responsabili del sistema educativo dello Stato, non costituisce dunque discriminazione a danno di un gruppo religioso nel suo insieme. (49/2001)

Israele e gli ebrei, una distinzione 

Un articolo critico contro Israele è discriminatorio nella misura in cui i termini «Israele» e «israeliano» sono associati a pregiudizi contro gli ebrei in generale. La discriminazione comincia quando la critica si rivolge all’insieme degli aderenti alla religione ebraica. (19/2003)

Uno Stato nel mirino 

Riferendo dell’incidente del torpedone schiantatosi contro una galleria, una cronista sostiene che non sia un caso che il pullman portasse targhe belghe, recando argomenti a carico. Il Consiglio della stampa nega che si tratti di discriminazione: la critica non è rivolta ai belgi in generale ma allo Stato, all’amministrazione, alla giustizia e ai politici di quel Paese. (55/2012)

Straniero e xenofobo? 

È discriminatorio contestare a un candidato le sue idee nazionaliste solo perché è di origine straniera. Non lo sarebbe se fossero criticate soltanto le contraddizioni tra la sua origine straniera e i discorsi xenofobi del partito cui appartiene. (27/2002)

Menzione della nazionalità

La menzione della nazionalità di una persona implicata in un processo si giustifica se il caso specifico può essere motivato da un sentimento di ostilità verso gli stranieri. A un giornale è concesso di menzionare la nazionalità delle persone, se lo fa in modo sistematico per offrire al pubblico un’informazione completa. (23/2002)

Commenti razzisti

Se una redazione vuole dare un saggio del tenore razzista e antisemita delle lettere che le giungono nella posta dei lettori online non basta che ne faccia l’esempio pubblicandole. Il fenomeno meriterebbe di essere analizzato e presentato nella forma dell’inchiesta. (30/2000)

8.3. Protezione delle vittime

Lasciar via i particolari scabrosi

Un certo ritegno nella descrizione dei fatti si impone nel resoconto di un processo su un caso di violenza sessuale sofferta da un bambino. Riferire nei particolari la ricostruzione fatta dall’accusa è fuori proporzione e ne risulta un avvilimento della vittima. (30/2012)

Particolari scabrosi solo evitando di identificare la vittima.  

È ammissibile la descrizione di atti pedofili, anche al limite del tollerabile. Ma la tutela della vittima impone la rinuncia ad ogni elemento che la renda riconoscibile a un largo pubblico. (58/2008; 45/2001)

Se era necessario per capire quanto fosse grave…

Un genitore è accusato di percosse e persino di torture a danno di una figlia adolescente. Due giornali si diffondono sulla famiglia, in particolare sull’origine del padre, la professione della madre, la scuola privata autrice della denuncia, che la ragazza frequentava. Per la gravità dei maltrattamenti era certo legittimo descriverli, anche se per l’adolescente può essere stato traumatico il ripercorrerli. Data la sua gravità, l’interesse pubblico alla conoscenza del caso era dato. I giornali, inoltre, non risulta che abbiano sfruttato il caso in modo sensazionalistico. (17/2008)

Evitare i particolari non essenziali

Un articolo dà conto della denuncia contro l’AI di un commerciante della regione. Lecito precisare che all’origine vi è un’infezione con il virus HIV. Occorreva tuttavia prescindere da ogni particolare non essenziale – come il tipo esatto del virus e la chiusura del negozio da parte della persona colpita – per evitare l’identificazione. (31/2011)

Per la vittima: protezione totale della sua identità

Una parte dei media rende nota l’identità di un sospetto. In ogni caso bisogna astenersi dal rendere riconoscibile la vittima, che come tale gode di una speciale protezione. (41/2011

8.4. Immagini di guerre e di conflitti 

Foto di cadaveri

Dopo gli scontri di piazza avvenuti in Egitto tra la polizia e i partigiani del presidente Morsi, un tabloid pubblica una serie di foto, alcune delle quali mostrano dei cadaveri riversi sulla strada. La legittimità della pubblicazione non può essere negata, ma deve essere in rapporto con una riflessione circa il valore informativo delle immagini e la dignità personale delle persone ritratte. La prima tesi (il valore informativo) vale per la foto in cui si riconoscono una ventina di cadaveri ; la seconda (il rispetto della sfera privata delle vittime) varrebbe piuttosto per la foto in cui se ne riconoscono, in primo piano, solo due. (67/2013)

8.5. Immagini di incidenti, catastrofi, crimini 

Su ogni immagine forte, riflettere! 

Pubblicazioni in cui testo e immagini sono riferiti ad atti di guerra, terrorismo, incidenti o catastrofi devono sempre essere preceduti una riflessione circa il rispetto dovuto alle vittime e ai loro congiunti. Chi opera ogni giorno con immagini forti deve interrogarsi sull’effetto che faranno e mettere preventivamente a confronto i valori (interesse pubblico oppure rispetto della dignità umana) implicati dalla pubblicazione. (2/1998)

Cifra 9

9.1. Indipendenza

Regali

I giornalisti sono tenuti a rifiutare regali ricevuti a titolo personale ed esclusivo da parte di organizzatori. Se offerti a tutti sono accettabili nella misura in cui non sono legati a condizioni e il resoconto rimane libero. Nella misura del possibile, le imprese mediatiche dovrebbero pagare le spese dei viaggi stampa. In ogni caso se a pagare è stato l’organizzatore, questo deve essere menzionato nel servizio. (2/1992)

Se invitati, perché non dirlo?

Invitati dall’ufficio turistico del Sudafrica, nei loro articoli i giornalisti si sono espressi anche a proposito dell’apartheid. Il Consiglio della stampa ritiene che tutti avrebbero dovuto precisare chi finanziava il viaggio. (26 settembre 1989)

Turismo, auto nuove, sport 

Le rubriche di turismo, auto, sport non possono distinguersi dal resto del giornale quanto all’obbligo di precisare chi paga un certo viaggio stampa. Occorre evitare che i giornalisti diventino dei viaggiatori di commercio. È in gioco la stessa indipendenza dei giornali. (7/1992)

Pubblicità per terzi? No

Non è conforme alla deontologia che a un giornalista si faccia un prezzo di favore quando sta per comprare un orologio. Promuovere servizi o prodotti di terzi contro compenso è da escludere. (8/2000; 5/1993

9.2. Legami d’interesse

Trasparenza

Come i deputati, anche i redattori di un giornale sono tenuti a rendere pubblica la loro appartenenza a partiti, comitati di associazioni, consigli d’amministrazione. I giornali devono pubblicare regolarmente le informazioni relative. I giornalisti incerti se occuparsi o di un determinato tema, per ragioni personali o per interesse economico, devono ricusarsi quando sia data – dice il Consiglio della stampa – «una grande prossimità». (2/1992

Cifra 10

10.1. Separazione tra parte redazionale e pubblicità

«Native advertising»

Un contenuto commissionato e pagato da terzi dev’essere chiaramente distinguibile da un contenuto redazionale. Se non è distinguibile graficamente, deve venir contrassegnato come pubblicità. (67/20194/2019 29/2019)

Inserti pubblicitari e politici

Inserti o supplementi che risultino una combinazione di testi redatti in stile giornalistico e di pubblicità devono essere distinguibili dal resto del giornale per una grafica diversa. Già l’intestazione della pagina deve recare la menzione «Speciale» o «Supplemento» e l’editore e la redazione responsabili devono figurare in un Impressumseparato. La regola vale anche per gli inserti di tipo politico. (5/1992; 26/2001)

Inserto redatto da una pubblica amministrazione 

Un quotidiano può certamente allegare un supplemento allestito a cura di una pubblica amministrazione, ma baderà che i contenuti siano chiaramente distinguibili dal resto del giornale. (45/2015)

Annunci nel testo

Gli annunci pubblicitari piazzati al centro di una pagina redazionale tendono ad azzerare la prescritta separazione tra contenuti redazionali e contenuti commerciali. La distinzione deve essere saltare agli occhi e una scritta precisare che si tratta di pubblicità. (23/2011)

Annunci politici

Anche se distinti dalla parte redazionale, gli annunci politici interessano la redazione in quanto informazione al pubblico. Un criterio etico deve ispirare la scelta tra quello che si può e quello che non si deve pubblicare. Vanno per esempio esclusi il disprezzo della dignità umana e la discriminazione , gli attacchi ingiustificati a carico di una persona, la mancanza di lealtà e di rispetto. Gli annunci che influenzano in modo unilaterale e particolarmente vivace l’attualità politica devono rispettare i criteri validi per la parte redazionale. (10/1998; 52/2004)

Foto a pagamento di candidati

Se un giornale fa pagare la pubblicazione di foto di candidati durante una campagna elettorale deve indicare che si tratta di pubblicità. (50/2004; 78/2012)

Foto commerciali

Le fotografie con contenuto commerciale devono essere chiaramente designate come tali dall’agenzia che le fornisce e segnalate all’attenzione del lettore. (29/2010)

Regali al lettore

Associare un buono-regalo di un’impresa commerciale a un articolo redazionale contravviene al dovere dei giornalisti di non prestarsi a veicolare pubblicità. (12 settembre 1991)

Radio locali

Anche i responsabili delle radio locali devono rinunciare a forme miste di informazione e pubblicità, per il rischio di compromettere la qualità delle notizie. I giornalisti attivi nelle radio locali non devono prestarsi. (1/1993)

10.2. Sponsoring, associazione di articoli e di pubblicità 

Condizioni troppo strette

Le offerte di sponsoring possono essere accettate in quanto non impongano condizioni troppo strette. In ogni caso, se un articolo non è di totale responsabilità della redazione deve essere segnalato come sponsoring. (1/2007)

Sponsoring d’informazione?

Gli articoli sponsorizzati sono un pericolo per l’indipendenza giornalistica. Le redazioni devono badare a segnalare esplicitamente le informazioni che non hanno verificato o dipendenti da un accordo di sponsoring. (5/1995)

Copertine pagate e interviste compiacenti

Offrire prestazioni redazionali e spazio a pagamento nella parte redazionale (per esempio, la copertina) mette in causa la credibilità. Ai rappresentanti delle imprese una redazione non deve mai lasciar capire che potrebbe «comprarsi» una copertina o un’intervista compiacente. (32/2015)

10.3. Marche e prodotti di moda 

Rispettare le regole giornalistiche!

Le redazioni devono poter scegliere liberamente di quali oggetti o prodotti intendono rendere conto. Gli stessi criteri devono valere per tutti gli articoli, nel rispetto delle regole della deontologia. Il lettore dev’essere messo in grado di riconoscere quali informazioni sono state verificate, quali dipendono dal suo apprezzamento, da quello dei produttori, o sono semplicemente riportate. La fonte delle informazioni dev’essere precisata e se si tratta di comunicati occorre designarli come tali. (1/2007)

10.4. Pubbliche relazioni

10.5. Boicottaggio della pubblicità

Informarne il pubblico!

Se un’azienda, o un’associazione professionale, ricorre al boicottaggio della pubblicità nei confronti di un organo d’informazione, il pubblico dev’esserne informato. I giornalisti hanno il dovere etico di respingere condizioni che si cerca di imporre loro minacciando il boicottaggio della pubblicità. (10/1994)

Chiffre 11

11.0. Direttive dell’editore

Il parere dell’editore

È da escludere un’interferenza diretta sul contenuto giornalistico da parte della proprietà. Se, nella circostanza, sono in gioco i suoi interessi, è legittimo che essa cerchi di difendersi anche scontrandosi con la propria redazione. Ma lo deve fare rispettando la indipendenza della medesima, per esempio esprimendosi attraverso un comunicato o un annuncio. (16/2004)

Le scelte competono alla redazione 

Che cosa si debba o non si debba pubblicare appartiene al diritto di scelta della sola redazione. Contravviene alla deontologia chi nella circostanza fa capo a criteri extra-giornalistici. (65/2010)

Consulenti giuridici

Una redazione è libera di far capo a consulenti giuridici, ma la decisione se riportarne il parere, e in quale forma, è di sua esclusiva competenza. (72/2009)

Diritti dei giornalisti

Lettera a

a.0. Libertà di accesso alle fonti dell’informazione 

Informazioni trattenute

Un’azienda che rifiuti di collaborare con un organo d’informazione per trattenere determinate notizie non può lamentarsi se i giornalisti riferiscono dati non aggiornati: erano gli unici disponibili. (1/2014)

Boicottaggio e deontologia 

Il boicottaggio di un giornalista viola il diritto di libero accesso alle fonti dell’informazione. Ma non dispensa il giornale dal rispettare le regole deontologiche, in particolare dal dovere di interpellare una persona esposta a gravi addebiti, e ciò prima della pubblicazione. (13/1999)

Boicottaggio di fotografi

Gli organizzatori di manifestazioni culturali devono accordare ai fotografi un accesso senza ostacoli. Se indispensabili, le restrizioni devono essere motivate. In tal caso ci si deve accordare per una conciliazione, per esempio offrendo al fotografo la possibilità di riprendere le prove. Fotografi semplicemente messi alla porta devono denunciare l’abuso che subiscono. Le immagini fornite da agenzie di pubbliche relazioni devono essere contrassegnate come tali. (5/1996)

a.1. Indiscrezioni

Pubblicazione di documenti diplomatici

La funzione di critica e di controllo dei media si esercita anche nei confronti della politica estera. Indipendentemente che la fonte sia autorizzata o confidenziale, le notizie d’interesse pubblico devono poter essere pubblicate. Prima della pubblicazione occorre però valutare se interessi degni di protezione potrebbero essere lesi. Anche per i documenti diplomatici può essere invocata la confidenzialità, ma non in modo assoluto. (1/1997)

oLa funzione di critica e di controllo dei media si esercita anche nei confronti della politica estera. Indipendentemente che la fonte sia autorizzata o confidenziale, le notizie d’interesse pubblico devono poter essere pubblicate. Prima della pubblicazione occorre però valutare se interessi degni di protezione potrebbero essere lesi. Anche per i documenti diplomatici può essere invocata la confidenzialità, ma non in modo assoluto. (1/1997)

Inchiesta di polizia in corso

Se un’informazione confidenziale riguarda un’inchiesta di polizia e la divulgazione potrebbe comprometterne l’esito, ai giornalisti, quando siano in gioco interessi essenziali, è lecito chiedere un rinvio della pubblicazione. (2/1995)

Pubblicazione prematura giustificata

Se non è in gioco un interesse pubblico particolare, né risulta leso un interesse altamente degno di protezione, non è illegittimo pubblicare un rapporto che l’autorità aveva l’intenzione di pubblicare solo mesi dopo. Sarebbe stato accettabile un embargo solo di qualche giorno. (1/2013)

a.2. Imprese private

Lettera b

Lettera c

Lettera d 

d.0. Trasparenza, diritto di consultazione

Chi è il proprietario

Occupati a creare trasparenza intorno agli attori della vita sociale e di quella economica quando sia giudicato importante, i media non possono applicare a se stessi misure di trasparenza diverse da quelle valide per tutti. Se indizi importanti fanno sospettare che la semplice indicazione della forma giuridica non faccia chiarezza sui dati economici reali dell’impresa, una comunicazione che ne prescinda è insufficiente. (34/2011)

Ristrutturazione redazionale

I membri di una redazione devono essere consultati circa una ristrutturazione che inciderà radicalmente sul loro lavoro prima che la decisione che li riguarda sia adottata dall’organismo competente. (31/2008)

Lettera e

Lettera f

f.0. Garanzia delle condizioni di lavoro

Competenza del Consiglio della stampa

I Consigli della stampa hanno due funzioni principali: (1) esprimere un giudizio su reclami inerenti alla violazione delle norme deontologiche, (2) difendere la libertà dell’informazione e della stampa. Il Consiglio della stampa accetta di verificare se alcuni diritti dei giornalisti menzionati nel codice deontologico sono violati, ma i fatti alla base del reclamo devono avere un legame con l’attività redazionale, oppure la disposizione essere in qualche modo in contrasto con la «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» e la difesa della libertà d’informazione e di stampa. La verifica consisterà nel verificare se alcuni diritti contenuti nel codice deontologico sono contraddetti dalle misure denunciate nel reclamo. (50/2010; 51/2011)

Lettera g

Internet e reti sociali

Siti d’informazione, competenze del CSS

Il Consiglio della Stampa si dichiara competente per qualsiasi pubblicazione di natura giornalistica, indipendentemente dal mezzo e dalla periodicità e quindi anche su internet. Per pubblicazione di natura giornalistica «s’intende qualsiasi pubblicazione risultante da un lavoro con un approccio indipendente di raccolta, selezione, redazione, interpretazione o commento di notizie legate all’attualità». I contenuti di pura propaganda non sono inclusi. (1/2019)

Giornalisti sulle reti sociali

Quando si esprimono sui social media, in linea di principio i giornalisti sono tenuti al rispetto delle regole etiche. Tuttavia, «è opportuno tener conto del principio di proporzionalità, soprattutto in considerazione della spontaneità che caratterizza le reti sociali e dell’ampia libertà di espressione che vi si pratica». L’obbligo del rispetto delle regole professionali non si applica quando i giornalisti si esprimono su argomenti che riguardano la loro vita privata. (2/2019)

La deontologia vale anche per il giornalismo online

Le regole della deontologia valgono per il giornalismo online come per le forme più tradizionali di giornalismo. Il Consiglio della stampa si augura che una formazione adeguata sia offerta ai giornalisti destinati a operare in rete, specialmente circa la separazione tra contenuti redazionali e pubblicità. (36/2000)

Internet e privacy

A dipendenza del loro contenuto, anche informazioni o immagini sul web possono riguardare la sfera privata. I giornalisti devono perciò valutare di volta in volta quale interesse sia predominante: quello del pubblico all’informazione o quello della persona alla tutela della sua sfera privata? Nell’effettuare tale confronto di interessi va tenuto presente il contesto nel quale l’informazione è data: a un gruppo ristretto di internauti oppure a un largo pubblico? E l’autore: è uno sconosciuto oppure una persona nota? Occorre che almeno una delle condizioni che giustificano la rivelazione della sua identità sia data. Tali condizioni sono enumerate nella direttiva 7.2. (in applicazione della Cifra 7 della «Dichiarazione») e valgono anche per la rete. (43/2010)

Diritto all’immagine

Anche informazioni private possono essere versate in Internet, purché di interesse pubblico. Vale tuttavia il diritto alla tutela della propria immagine per la persona che non desidera apparire con la propria foto postata sul web.(27/2009)

La foto del soldato morto in un incidente

L’articolo che riferisce di un incidente mortale occorso a un militare è integrato da una foto che la redazione ha trovato nel sito del club sportivo al quale la vittima apparteneva. Risulta pubblicato con l’autorizzazione della società, ma non dei parenti. A giudizio del Consiglio della stampa, per rispetto della famiglia si sarebbe dovuto rinunciare all’utilizzo della foto. (21/2016)

Media in linea, archivi digitali

Un certo diritto all’oblio si applica anche ai media online e agli archivi digitali. Nessuno pretende che le redazioni procedano all’aggiornamento sistematico degli articoli in archivio liberamente disponibili. Tuttavia, davanti alla richiesta motivata di non citare un certo nome o di aggiornare l’informazione contenuta in un articolo, la redazione deve chiedersi se, riprendendo nome e fatti senza cambiamento, non si manchi di rispetto alla dignità dell’interessato, quando sia fatto valere il danno eventuale di una nuova identificazione o le conseguenze del rifiuto di aggiornare i dati che riguardano la persona. (29/2011)

Collaborazioni tra testate

Ogni redazione è responsabile di tutto ciò che pubblica, compresi gli apporti di altre redazioni. I contributi esterni devono essere verificati prima di pubblicarli per evitare violazioni flagranti della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista». Ma a nessuno è chiesto di rifare un’inchiesta per verificarne la qualità. E la regola non vale se l’apporto esterno è chiaramente indicato. (50/2011)

No all’informazione a puntate…

Un’impresa assicurativa è oggetto di un addebito grave in un articolo online. La redazione accetta di riferire il suo punto di vista, ma solo… un’altra volta. Il principio «audiatur et altera pars» va applicato riferendo simultaneamente il parere dell’impresa criticata, ossia nella prima pubblicazione in rete. (37/2016)

Commenti anonimi online

Le norme deontologiche che si applicano agli interventi dei lettori valgono sia per la versione a stampa sia per quella online. È il contenuto che conta, non la forma della diffusione. In linea di principio, anche i commenti espressi online devono essere firmati, come nelle lettere a giornale. Nel caso di discussioni in linea vale tuttavia il principio di proporzionalità: le esigenze di spontaneità e di prontezza di reazione del mezzo possono rendere la norma irrealista. Tocca allora al moderatore del dibattito assicurarsi che dell’anonimato non si abusi per esprimere commenti diffamatori o discriminatori. (52/2011)

Ospiti / Cronache

Cronache anonime

La pubblicazione di un articolo anonimo è consentita purché al pubblico vengano fornite indicazioni che gli permettano di contestualizzare il punto di vista dell’autore e la redazione si assicuri che detto articolo non violi in modo grave la Dichiarazione dei doveri e dei diritti. (46/2017)

I media scatenati

Arrestato il «re» della vita notturna 

Il proprietario di un night zurighese, personaggio dovizioso, è in manette. Per settimane di fila i media si scatenano. È una pacchia, d’accordo, e le persone famose devono aspettarsi di essere al centro dell’attenzione. Ma ci dev’essere un rapporto tra l’importanza del caso e la notorietà del personaggio. È accettabile anche che dell’inchiesta su a suo carico si parli per settimane, purché sia precisato che non pende ancora su di lui alcuna condanna. Ma tutti quei particolari, le chiacchiere raccolte senza verifica, le dicerie e i sospetti: è così che si fa un’inchiesta? Il Consiglio della stampa lo nega. (58/2010)

L’evaso famoso

Il criminale è famoso, indegno il suo comportamento. Ma non è una ragione per lasciarsi andare a pubblicare di tutto senza discernimento e contro le regole della deontologia, in particolare mancando al dovere di ascolto in caso di gravi addebiti e alla protezione delle vittime. (7/2012)