Nr. 72/2009
Ricerche mascherate / Diritto dell’opinione pubblica all’informazione / Direttive giornalistiche

(Robbiani c. RSI) Presa di posizione del 26 novembre 2009

Drucken

I. I fatti

A. Nel dicembre 2008, il giornalista libero Vito Robbiani, a nome della propria impresa «Mediatree produzioni sagl», presentava alla trasmissione «Patti chiari» della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (in seguito: RSI) un’offerta per tre servizi di 12 minuti l’uno intitolati: «Il lifting del contachilometri», «Come fare a sapere se l’occasione che stiamo comprando ha subito un incidente?» e «Quando l’occasione è d’oro». Il contratto di produzione veniva firmato il 23 dicembre 2008.

B. L’8 maggio 2009 «Patti chiari» trasmetteva solo due dei tre servizi prodotti e consegnati. Dopo visionamento del servizio «Il lifting del contachilometri», il produttore della trasmissione aveva deciso, sentito il consulente giuridico della RSI, di non diffonderlo per timore di conseguenze giuridiche negative. Nel servizio non trasmesso – con immagini di una ricostruzione fatta con persona consenziente – si vede il giornalista che porta un’auto a un garage e chiede al garagista (volto e voce anonimizzati) la manipolazione del contachilometri. Contro pagamento di fr. 150, il garagista è d’accordo di manipolare il contachilometri, retrocedendo la cifra indicata da 190.162 a 110.013 chilometri. C. Il 22 maggio 2009, Vito Robbiani esprimeva al responsabile dell’Informazione alla RSI, Edy Salmina, delusione per la decisione di non trasmettere il servizio da lui realizzato insieme con il regista Alberto Meroni. Con tale «censura» si sarebbe sottratta al pubblico un’informazione importante. Sarebbe stato certo possibile usare altri modi per mostrare in quale modo vengono manipolati i dati relativi ai chilometri percorsi. Ma le modalità scelte per presentare tale casistica hanno un diverso effetto sul telespettatore, e in questo caso si trattava di mettere in guardia l’acquirente di automobili d’occasione. La discussione in studio che avrebbe seguito la proiezione dei servizi poteva del resto chiarire eventuali malintesi.

D. Il 25 maggio 2009, Edy Salmina mandava a Vito Robbiani un messaggio di posta elettronica, in cui diceva di comprendere la sua delusione ma negava si fosse trattato di censura. Ci si sarebbe limitati ad assicurare il rispetto delle norme giuridiche, doveroso per un ente di diritto pubblico come la RSI. I telespettatori erano stati in ogni caso in grado di capire su che tipo di abuso «Patti chiari» voleva attirare l’attenzione.

E. Il 3 giugno 2009, Vito Robbiani ha presentato un reclamo al Consiglio svizzero della stampa, chiedendogli di pronunciarsi sul fondo della questione, cioè sul ruolo esercitato da avvocati e giuristi quando svolgono – in particolare presso la RSI – una funzione di controllo e di censura. Tale loro influenza riduce l’impatto e la forza dei soggetti, se non addirittura ne falsa il senso. L’intervento avviene infatti a cose fatte, magari già decise e accettate dal produttore, che nel caso della RSI è anche un giornalista. Non si tratterebbe di casi isolati, la sua esperienza dimostrerebbe la frequenza con cui i produttori, su consiglio dei giuristi, chiedono ai realizzatori di effettuare dei tagli nei servizi che presentano, per evitare querele penali. E ciò benché tali servizi siano realizzati nel rispetto della deontologia professionale descritta nella «Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti». Il Consiglio della stampa dovrebbe fissare i limiti entro i quali si possono accettare simili intrusioni nel lavoro delle redazioni.

Inoltre, il reclamante chiede al Consiglio della stampa di pronunciarsi sul caso concreto della rinuncia della RSI alla diffusione del servizio «Il lifting del contachilometri» da parte della trasmissione «Patti chiari» dell’8 maggio 2009, in particolare di verificare la violazione della Cifra 1 (Diritto del pubblico alla conoscenza della verità) e della Cifra 11 (Direttive giornalistiche) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti».

Il produttore di «Patti chiari» e il responsabile dell’Informazione alla RSI giustificano il loro intervento affermando che gli autori del servizio potrebbero avere istigato il garagista a commettere un reato penale. Ammesso che ciò sia avvenuto – osserva Vito Robbiani – la verità emersa dal reportage potrebbe essere più importante del presunto illecito commesso. Al di là del giudizio da dare sul caso specifico, il reclamante chiede al Consiglio della stampa di pronunciarsi sui limiti della ricerca giornalistica in casi analoghi.

F. Il 21 luglio 2009, la RSI chiedeva al Consiglio di non entrare in materia, in via subordinata la reiezione del reclamo.

Circa il ruolo svolto da avvocati e giuristi nelle redazioni, la RSI fa notare che il reclamo non rispetta le esigenze poste dall’art. 8 cpv. 2 del Regolamento del Consiglio svizzero della stampa. Per questa ragione, il Consiglio della stampa non dovrebbe entrare in materia. In ogni caso, la consulenza legale non è pensata né organizzata per limitare la libertà giornalistica, ma, al contrario, vuole permettere alle redazioni di esercitarla fino in fondo, comunque non oltre i limiti legali e deontologici. Chi vede nel rispetto delle regole una censura dimentica che è proprio nelle regole stesse che la libertà giornalistica ha sede e garanzia.

Il reclamante sostiene che con la rinuncia a trasmettere il servizio «Il lifting del contachilometri» la RSI si è comportata in modo scorretto. La RSI risponde di ritenere tale parte del reclamo «contraria al principio della buona fede». Nel contratto di produzione è precisato che la RSI si riserva il diritto di tagliare e/o di modificare, a suo giudizio, il supporto immagine anche dopo la realizzazione della produzione. Il reclamante prima firma un contratto che attribuisce alla RSI le descritte possibilità, realizza il servizio, ne incassa l’onorario e poi, a posteriori, protesta perché la RSI si è avvalsa di un suo diritto.

Sul contenuto del servizio, la RSI fa notare che non si è trattato di utilizzo nascosto di telecamera. Le immagini sono infatti quelle di una «ricostruzione» fatta con persona consenziente. La ricostruzione, se il servizio fosse andato in onda, sarebbe stata ovviamente indicata come tale al pubblico. Il manipolatore del tachimetro non sapeva di avere a che fare con un giornalista. Il produttore di «Patti chiari» aveva posto come condizione che non sarebbe stata usata una telecamera nascosta, e che il garagista – qualora fosse stato d’accordo di effettuare l’intervento – sarebbe stato avvertito prima della diffusione per dargli modo di far valere le sue giustificazioni. Inoltre, l’auto «taroccata» non sarebbe stata venduta. Vito Robbiani avrebbe messo a disposizione la sua auto privata per il test. Solo all’ultimo momento fu usata un’auto che apparteneva a una terza persona, la quale però aveva chiesto che non fosse reso noto il suo nome. A questo punto, la necessità di proteggere la fonte non permetteva più di interpellare il garagista. L’anonimizzazione dell’immagine e del suono, a questo punto, fa correre al servizio il rischio di gettare il discredito su tutta una categoria professionale.

In aggiunta ai problemi deontologici citati, la RSI fa notare che si poneva anche un problema di rilevanza penale. Interpellando il garagista «manipolatore», il giornalista poteva fargli commettere un atto preparatorio a una truffa (la vendita dell’auto «taroccata»). Anche senza avere la volontà di commettere un reato, tale comportamento è giuridicamente rischioso. Sentito il parere del consulente, questo è stato un altro motivo per cui il produttore di «Patti chiari» decidesse di non trasmettere il servizio. Tutte queste ragioni considerate, e pur ammesso come evidente l’interesse pubblico del servizio giornalistico, la RSI giunge alla conclusione che la violazione delle norme deontologiche e il risc
hio di conseguenze penali fossero motivi sufficienti per rinunciare alla trasmissione. Si sarebbe potuto, d’altra parte, limitarsi a mostrare con quale facilità può essere manipolato un contachilometri.

G. In una precisazione successiva, del 14 settembre 2009, Vito Robbiani insiste che non è in discussione tanto il suo contrasto con la RSI, quanto piuttosto il ruolo degli avvocati e dei giornalisti nelle redazioni.

Con il reclamo circa «Il lifting del contachilometri», inoltre, egli poneva l’accento più sugli aspetti deontologici che su quelli giuridici. Durante le prese di un reportage, capitano sempre imprevisti. Nel caso concreto, l’auto prevista per l’intervento dovette essere sostituita all’ultimo momento perché fuori uso. Il cambio fu discusso con il produttore. Era stata discusso di salvaguardare il principio di sentire tutte le parti in causa. Ma non era sua intenzione incolpare un singolo garagista, ma avvertire il pubblico circa la frequenza di abusi come quello mostrato. La problematica di diritte penale era già presente al momento della stesura del progetto.

H. Il Consiglio della stampa ha trasmesso il reclamo alla sua Prima Camera, di cui fanno parte Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Klaus Lange, Philip Kübler, Sonja Schmidmeister e Francesca Snider. Il presidente della 1. Camera, Edy Salmina, responsabile dell’Informazione alla RSI, si è ricusato.

I. La 1. Camera ha discusso il reclamo nella sua seduta del 26 novembre 2009, come pure per via epistolare.

II. Considerandi

1. a) Conformemente all’art. 8 cpv. 2 del Regolamento del Consiglio della stampa, la motivazione di un reclamo deve enumerare i fatti determinanti e indicare quali punti della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti» sono stati, a giudizio della parte reclamante, violati dall’articolo o dal programma contestati.

Le esperienze personali di cui Vito Robbiani narra nel suo reclamo, circa l’influsso di avvocati e giuristi sul contenuto dei prodotti giornalistici, sono troppo poco precise per essere approfondite in questa sede. Ciò non impedisce al Consiglio della stampa di esprimersi in termini generali sul tema, anche senza diretto rapporto con le discussioni che il reclamante riferisce di avere avuto con la RSI.

b) È conforme alla deontologia che prima della diffusione di un prodotto giornalistico ci si accerti per quanto possibile se la pubblicazione è sostenibile da un profilo giuridico o etico. Come durante la produzione ci si preoccupa di sottoporre le informazioni raccolte al parere di esperti di altre discipline, così anche l’avviso di un giurista, in caso di dubbio, può concorrere alla qualità del giudizio da dare circa il materiale raccolto. Questo non inficia la responsabilità della redazione, né può essere a priori equiparato a una censura. Spetta comunque nel singolo caso ai responsabili della redazione decidere se e in quale misura si debba tenere conto di una eventuale riserva di tipo giuridico, e in quale misura sia invece da affrontare il rischio di conseguenze legali, per esempio quanto sia dato un evidente interesse pubblico.

2. La RSI propone al Consiglio della stampa di non entrare in materia sul programma non trasmesso «Il lifting del contachilometri» perché il reclamante agirebbe in malafede. Nella decisione se il Consiglio debba o no entrare in materia, tuttavia, non hanno incidenza i motivi e il comportamento del reclamante. Altri dovrebbero essere i motivi di non entrata in materia (nessuno implicato nel presente caso), cioè quelli enumerati all’art. 10 del Regolamento (procedimento giudiziario in parallelo, sottrazione di mezzi di prova). Poiché Vito Robbiani, nella seconda parte del suo reclamo, fa valere la violazione di norme deontologiche da parte della RSI, è su questo punto che il Consiglio decide di entrare in materia. 3. a) Secondo la cifra 1 della «Dichiarazione», il giornalista «ricerca la verità (…) senza riguardo per le conseguenze che gliene potrebbero derivare». Tale precisazione («senza riguardo per le conseguenze che gliene potrebbero derivare») non qualifica la ricerca della verità come prioritaria rispetto agli altri doveri del giornalista. La norma è da interpretare nel contesto complessivo della «Dichiarazione».

Nelle «Note protocollari» alla «Dichiarazione» sottoscritte al momento dell’ampliamento della base della Fondazione del Consiglio svizzero della stampa agli editori e alla SRG SSR idée suisse si precisa che nel terzo capoverso delle «Premesse» è sottolineata la priorità ideale della «responsabilità del giornalista nei confronti della sfera pubblica». L’affermazione si fonda sui diritti fondamentali enumerati dalla Costituzione federale. «Essa non incide tuttavia sulle strutture di competenza all’interno dell’organizzazione del lavoro, né prevale sulla giurisprudenza relativa a tale contesto» (questo riferimento è alle sentenze dei tribunali). Sono riservati soltanto «i casi di resistenza motivata da ragioni di coscienza». La deontologia dei giornalisti non si pone cioè, in linea di principio, sopra la legge né intende sottrarre il giornalista alla giurisdizione di autorità e di corti legittimamente e democraticamente costituite.

Il Consiglio della stampa ha inoltre stabilito (già nella Presa di posizione 1/1992) che la scelta delle informazioni da pubblicare rientra nella competenza del responsabile della redazione del singolo medium. Ciò vale anche per la pubblicazione di comunicazioni editoriali (11/1998) oppure di lettere di lettori (in particolare: Presa di posizione 5/2008). Neppure si potrebbe argomentare che un libero collaboratore ha diritto alla diffusione del prodotto consegnato (17/2006). Solo in via eccezionale le redazioni sono tenute a diffondere una determinata informazione. Nella presa di decisione valgono criteri giornalistici, di luogo e di modo (37/2005). Deve essere in ogni caso evitato l’arbitrio e rispettato il principio di proporzionalità (18/2002).

b) Con la decisione di non trasmettere il servizio «Il lifting del contachilometri» la RSI ha sottratto alla sfera pubblica informazioni importanti? Si è lasciata guidare da criteri altri da quelli giornalistici, ha rispettato il principio di proporzionalità? Secondo la RSI, la decisione era giustificata dalla convinzione che trasmettere il servizio avrebbe inevitabilmente violato la deontologia ed esposto l’ente al rischio di conseguenze penali.

Nella misura in cui la RSI si riferisce al principio «audiatur et altera pars», la Presa di posizione 14/2001 può aiutare a dirimere la questione. Il Consiglio della stampa si era pronunciato in quella occasione per il dovere di ascolto di tutte le parti anche in caso di ricerche mascherate. Anche se rapportato alla cifra 6 della «Dichiarazione» (protezione della fonte), il diritto di un terzo interessato a conoscere il contenuto del servizio non può essere contestato. È vero però che anonimizzando la sequenza si rende superflua tale precauzione (su questo punto, la Presa di posizione 10/1997) ed è poco sicuro che in tal modo – come sostiene la RSI – si sia gettato il discredito su un’intera categoria. Anche dopo l’anonimizzazione della sequenza, tuttavia, come pure Vito Robbiani in linea di principio ammette, la problematicità del risvolto penale sussiste. Il Consiglio della stampa, nella già citata Presa di posizione 14/2001, ha sottolineato che, in presenza di ricerche mascherate, le redazioni sono tenute, prima della pubblicazione, a soppesare accuratamente le ragioni pro o contro la diffusione, eventualmente a non trasmettere il servizio. Non può essere fatto rimprovero alla RSI di avere agito in tal senso, considerato il rischio di conseguenze penali, al momento dell’ultima e decisiva valutazione. c) Il reclamante esorta il Consiglio della stampa, non solo a pronunciarsi sul caso concreto ma pure sui limiti delle ricerche mascherate. Secondo la Direttiva 4.2. annessa alla «Dichiarazione», tali ricerche sono ammesse come eccezione «quando la pubblicazione o la diffusione de
i dati raccolti riveste un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenerli». Dalla prassi finora seguita dal Consiglio della stampa (Prese di posizione 14/2000, 14/2001, 50/2005, 51/2007 e 58/2009) si deduce anzitutto che tre sono le domande da porsi: (1) Esiste un interesse pubblico alla diffusione delle informazioni raccolte? (2) La ricerca mascherata era l’unico modo per procurarsi tali informazioni? (3) Rispetta la proporzionalità la mancanza, sia pure in via di eccezione, al dovere di lealtà, in quanto inevitabile nella scelta di effettuare una ricerca mascherata? Alla domanda se un interesse pubblico giustifica una ricerca mascherata non è possibile rispondere in generale, cioè prescindendo dalla fattispecie. Nella Presa di posizione 5/2004 il Consiglio della stampa si è rifiutato di circoscrivere in generale il concetto di «interesse pubblico», ritenendolo un compito impossibile. «Si tratta di un concetto relativo, su cui il Consiglio non può esprimersi in generale». Anche valutare la necessità e la proporzionalità di una ricerca mascherata è possibile solo con riferimento a un preciso contesto.

Il Consiglio della stampa ha ulteriormente avvicinato il problema delle inchieste mascherate nella Presa di posizione 58/2009, precisando che «anche nelle ricerche mascherate i giornalisti devono badare a non operare come attori (…). In ogni singolo caso è necessario operare un’attenta valutazione delle ragioni pro o contro. Questo perché ogni ricerca mascherata viola necessariamente il rapporto di fiducia tra le persone. Anche per questo aspetto è necessario riferirsi al principio della proporzionalità. Tanto più elevato deve essere l’interesse del pubblico quanto più il giornalista invade la sfera personale delle persone o i segreti di un’azienda. Quanto più alto è il valore informativo di una ricerca per il dibattito civile tanto minore è il dovere di ricorrere a un’indagine aperta, e tanto più si giustifica l’eccezione di agire in modo discreto.» Fondandosi su queste considerazioni, il Consiglio della stampa aveva dato torto a un giornalista di «K-Tipp» che si era fatto assumere da una cassa malati nella falsa veste di consulente privato in assicurazioni. Secondo il Consiglio della stampa, la scelta dell’inchiesta mascherata, in quel caso, non rispettava il principio di proporzionalità poiché gran parte delle mancanze rilevate non erano una novità; inoltre si sarebbero potute esperire anche con mezzi normali. Diverso il giudizio, invece, nel caso di una ricerca mascherata (51/2007) intesa a verificare la qualità delle prescrizioni di alcuni studi di chirurgia estetica. La bella Miss Argovia era stata mandata innanzi, accompagnata da un’ «amica» che filmava di nascosto, e si era potuto appurare che alcuni di questi medici erano disposti a secondare, operandola, anche le richieste più irragionevoli . Il Consiglio della stampa era stato del parere che un simile accertamento non si sarebbe potuto eseguire altrimenti. Si era pure considerato che i medici in causa erano stati informati del risultato dell’inchiesta, avevano potuto rispondere alle critiche e addirittura alcuni avevano avuto il diritto di non vedere trasmessa la parte di trasmissione che li concerneva. d) Considerando il caso in esame dal profilo della proporzionalità, la scelta della ricerca mascherata appare più che dubbia, vista anche la decisione presa di anonimizzare il volto e la voce del garagista. Circa la manipolazione del contachilometri come tale, dipende dal caso specifico se l’inchiesta mascherata fosse necessaria o no. Questi casi sono abbastanza comuni e gli acquirenti di auto d’occasione lo sanno. A meno che il trucco sia particolarmente raffinato, basta in fondo controllare sul libretto di servizio dell’auto se i chilometri effettivamente percorsi siano quelli indicati dall’apparecchio.

Di interesse pubblico sarebbe stato invece accertare quanti siano i garagisti, per esempio in Ticino, disposti a manipolare il contachilometri di un’auto d’occasione allo scopo di «ringiovanirla», e di conseguenza quante probabilità la gente abbia di essere vittime di un tale tentativo di truffa. Questa indagine sì, senza ricerca mascherata, sarebbe stata impossibile. Analogamente al caso della chirurgia estetica, gli interessati avrebbero dovuto poi essere confrontati con l’esito dell’indagine. Per evitare conseguenze penali – è ancora il caso dei medici poco scrupolosi a valere da paradigma – ci si poteva domandare se non bastasse documentare la semplice disponibilità alla manipolazione, evitando di farla eseguire al garagista e in tal modo rischiando di commettere un atto punibile, in quanto preparatorio a una truffa.

e) Riassumendo, il Consiglio della stampa constata che il servizio di Vito Robbiani, in quanto anonimizza le persone, non rappresenta la denuncia di un caso concreto di abuso ma si limita genericamente a mettere in guardia contro una forma di truffa. Messe in guardia contro pratiche di questo tipo non sono una novità e possono essere – come lo stesso reclamante ammette nel complemento di informazione del 14 settembre 2009 – dimostrate anche senza ricorrere a un’inchiesta mascherata e in tal modo esporsi a conseguenze penali. Con la sua decisione, la RSI si è basata su un criterio giornalistico corretto, non ha agito arbitrariamente bensì rispettando la proporzionalità. È pertanto da negare la violazione della cifra 2 della «Dichiarazione».

4. a) La cifra 11 della «Dichiarazione dei doveri» stabilisce che «(il giornalista) accetta direttive giornalistiche solo dai responsabili designati della propria redazione, purché non siano in contrasto con la presente Dichiarazione».

b) Come già precisato alla cifra 1 dei Considerandi, la richiesta di una consulenza giuridica e la ripresa delle sue conclusioni nel processo decisionale della redazione non contravviene alla deontologia. Questo vale soprattutto in quanto siano stati i responsabili della redazione a decidere circa la pubblicazione: particolare non contestato, nel caso specifico, dal reclamante. Perciò è pure da negare che vi sia stata violazione, da parte della RSI, della cifra 11 della «Dichiarazione». La decisione dei responsabili redazionali di «Patti chiari» e del Settore dell’Informazione della RSI – come anticipato alla cifra 3 dei Considerandi – non è deontologicamente oppugnabile.

III. Conclusioni

1. Nella misura in cui il Consiglio entra in materia, il reclamo è respinto.

2. La richiesta di una perizia giuridica in caso di dubbio non modifica le competenze redazionali, né può essere a priori considerata censoria. Ai responsabili della redazione tocca sempre decidere se e quando eventuali riserve di tipo giuridico siano da tenere in considerazione, e in quale misura il rischio di conseguenze penali sia da affrontare, in quanto misura eccezionale da assumere in presenza di un interesse pubblico.

3. Le ricerche mascherate sono lecite in quanto esista un pubblico interesse alla ricerca di determinate informazioni e queste non siano altrimenti ottenibili. Il ricorso alle ricerche mascherate deve essere deciso dopo ponderazione, secondo proporzionalità, di quanto esso giustifichi la rottura del rapporto di fiducia. Se e quando tali condizioni siano date, non può essere deciso in astratto ma sempre in relazione con il caso specifico.

4. Con la decisione di non trasmettere il servizio «Lifting del contachilometri», la RSI non ha violato la cifra 1 (Rispetto della verità) e la cifra 11 (Direttive giornalistiche) della «Dichiarazione dei diritti e dei doveri dei giornalisti».

Zusammenfassung

Resumé

Riassunto