Newsletter #1/2022: Il Consiglio della stampa può essere ritenuto superfluo, e tuttavia…

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Ecco la prima newsletter del Consiglio svizzero della stampa. In essa riferiremo di volta in volta riguardo a reclami e decisioni di peso e sporadicamente affronteremo dibattiti rilevanti sull’etica dei media in Svizzera o all’estero. 

Viene spesso riproposta con enfasi la domanda sul perché abbiamo bisogno di un Consiglio della stampa.

 «Non prendo affatto sul serio il Consiglio della stampa. È un’organizzazione unilaterale di sinistra, affine ai sindacati, che non fa altro che combattere tutti i media che non si uniformano ai suoi pregiudizi ideologici. Il Consiglio della stampa è superfluo», ha affermato il responsabile di un portale online in una recente intervista a «Persönlich». Questa persona è stata in precedenza caporedattore di un importante quotidiano e il fatto che abbia un problema nei confronti del Consiglio della stampa testimonia in favore di quest’ultimo. L’intervistatore voleva sapere dal direttore del portale online i motivi per cui avesse assunto un giornalista che era stato rimproverato nove volte dal Consiglio della stampa. Questi ha risposto che il giornalista — chiamiamolo A. — era un eccellente cronista locale e che il Consiglio della stampa è — appunto — superfluo. 

Ciò suscita curiosità riguardo al registro dei peccati di A. Ma le cose non sono così semplici. Negli ultimi anni il Consiglio della stampa ha ricevuto in totale 14 reclami contro A. Tuttavia, quattro di essi sono stati respinti e uno non è stato accolto perché palesemente infondato. Per quanto riguarda gli altri nove reclami, cinque sono stati accolti parzialmente e degli ultimi quattro sono stati accolti la maggior parte dei punti contestati. A. ha quindi violato più volte la «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista», questo è esatto.

Ma questo cosa dimostra? Il numero di reclami ricevuti dal Consiglio della stampa contro un mezzo di comunicazione o un giornalista non è un dato statisticamente affidabile. Dopo tutto, chiunque può presentare un reclamo in qualsiasi momento. È cosa buona e giusta. Ma comporta anche il rischio che i media o i giornalisti possano essere presi di mira e sommersi da reclami. Per questo motivo, il Consiglio della stampa si astiene deliberatamente dal pubblicare classifiche, sia dei giornalisti che dei media che vengono criticati con particolare frequenza.

Tuttavia, se il medesimo giornalista viene ripetutamente rimproverato, ciò indica che il mezzo di comunicazione in questione ha o ha avuto un problema di controllo di qualità. Il buon giornalismo nasce nelle redazioni, le quali garantiscono, per quanto possibile, che non vengano pubblicati errori o accuse ingiuste. Il giornalismo è uno sport di squadra.

Si chiude così il ciclo con il responsabile del portale online, che è stato per otto anni il caporedattore del giornalista locale A. Se quest’ultimo è stato rimproverato in diverse occasioni dal Consiglio della stampa proprio durante quel periodo, naturalmente i rimproveri riguardavano anche il capo. Quest’ultimo potrebbe non tenerne conto se i richiami avessero una motivazione ideologica. Ma il Consiglio della stampa non discute di contenuti politici: si occupa delle regole del gioco che rendono il giornalismo un’attività imparziale, onesta e trasparente. 

Le norme sono fissate nella «Dichiarazione». L’associazione professionale Impressum le ha pubblicate nell’estate del 1972 e dopo cinquant’anni sono sempre ancora attuali. Si tratta della «ricerca della verità», del «pluralismo delle opinioni» e della «tutela della privacy». Il preambolo della «Dichiarazione» recita: «Le giornaliste e i giornalisti degni di tale denominazione considerano loro dovere osservare fedelmente i principi di questa dichiarazione.»

Oggi il Consiglio della stampa ha una base molto ampia: oltre a Impressum e ai sindacati, fanno parte della fondazione anche l’Associazione svizzera degli editori di media, la Conferenza dei direttori e la SSR.

Ma l’elemento centrale è l’autoregolamentazione: non sono lo Stato o i tribunali a determinare ciò che il giornalismo è autorizzato a fare, ma sono i giornalisti che parlano del lavoro degli altri giornalisti per valutare ciò che è permesso e ciò che non lo è. Non si tratta di politica, ma di etica professionale. Si tratta di due cose fondamentalmente diverse. 

Possiamo infischiarcene, ma sarebbe come dire che nello sport non si riconoscono né le regole del gioco né gli arbitri. 

È fattibile, ma allora non si tratta più di sport, ma piuttosto d’incivile beceraggine.

Susan Boos, Presidente del Consiglio svizzero della stampa

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