Nr. 41/2011
Rispetto della vita privata / Protezione della vittima

(X. c. Radiotelevisione svizzera di lingua italiana; Y. c. ticinonews.ch / «Il Caffè» / «Corriere del Ticino» / «la RegioneTicino» / «Giornale del Popolo»)

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I. I Fatti

A. Il 12 settembre 2010 il medico Z. è arrestato al suo rientro da Nizza, dove aveva trascorso la vacanze con la famiglia, in seguito a una denuncia di violenza carnale nei confronti della moglie.

B. Il giorno dopo, 13 settembre 2010, la rubrica «Il Quotidiano» della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (in seguito: RSI) diffonde un servizio dal titolo: «Arrestato Z.», autore il giornalista Francesco Lepori. Nel lancio si possono ascoltare le seguenti frasi: «Il medico locarnese è accusato di violenza carnale. I fatti sarebbero avvenuti la scorsa settimana durante una vacanza. Z., 45 anni, affetto da malattia psichiatrica, si trova ora recluso all’ospedale Civico. A sette anni dall’inchiesta sul mancato omicido della madre, aggredita sulle sponde della Melezza, il dottor Z. è di nuovo protagonista di una vicenda giudiziaria. È stato arrestato – lo avete sentito – per violenza carnale.»

C. Il 14 settembre 2010 la notizia è ripresa dai giornali «Corriere del Ticino», «Giornale del Popolo» e «la Regione Ticino».

D. Lo stesso 14 settembre 2010 «ticinonews.ch», il sito online di Tele Ticino, titola: «Z. denunciato dalla moglie. La presunta violenza carnale a Nizza».

E. Sempre il 14 settembre, autore ancora Francesco Lepori, «Il Quotidiano» trasmette un secondo servizio, lanciato con le seguenti frasi: «Z. deve rimanere agli arresti. Ieri il GIAR Ursula Züblin ha confermato il provvedimento disposto dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. Da domenica, Z., affetto da una malattia psichiatrica, si trova in una delle celle al nono piano dell’Ospedale Civico. Il medico è accusato di violenza carnale. I fatti sarebbero avvenuti settimana scorsa, durante una vacanza in Francia, a Nizza. È stata la stessa presunta vittima a sporgere denuncia, dopo aver convinto Z. a lasciarsi ricoverare alla Clinica psichiatrica cantonale. Il 45enne, però, respinge ogni addebito.»

F. Il giorno dopo, l’informazione è ripresa dai quotidiani «la RegioneTicino» («Arresto confermato per violenza carnale. Caso Z., lo accusa la moglie»), «Corriere del Ticino» («Caso Z., l’arresto è confermato. (…) Ad accusare il 47.enne di violenza carnale sarebbe infatti la moglie») e il «Giornale del Popolo» («Il dott. Z. respinge le accuse (…) dalla denuncia di una donna – stando a fonti attendibili, pare essere la moglie dell’accusato – che sostiene di essere stata stuprata durante un soggiorno in Francia»).

G. Il 17 settembre 2010, l’Associazione Ticinese dei Giornalisti (ATG) diffonde un comunicato nel quale esprime la sua «preoccupazione per una chiara violazione di un dovere deontologico professionale fra i più elementari: quello del rispetto delle vittime». Lo stesso giorno il penalista Carlo Borradori ricorda in un articolo su «la Regione» («La privacy messa alla gogna») che secondo la Legge federale concernente l’aiuto alle vittime di reati a sfondo sessuale «al di fuori di un procedimento giudiziario pubblico, autorità e privati possono rendere nota l’identità della vittima soltanto se necessario nell’interesse del proseguimento penale o se la vittima lo consente». Circa l’accusato, scrive: «Il solo fatto che in tale veste vi sia in questo caso une persona già coinvolta in una precedente procedura con ampio risalto mediatico (…) non doveva evidentemente legittimare la divulgazione del suo nominativo il giorno stesso del suo arresto».

H. Il 19 settembre 2010, secondo «Il Caffè», che ne riferisce in prima pagina, l’accusato «sostiene che non avrebbe violentato la moglie, che tutto gli era sembrato come le altre volte e lei gli sembrava consenziente». Nelle pagine interne si aggiungono nuovi dettagli sul caso.

I. Il 21 settembre 2010 «la Regione» pubblica un commento di Enrico Morresi («Questo giornalismo non è difendibile»). L’autore si domanda se il dottor Z. può essere considerato un uomo pubblico: «Davvero? Perché è stato accusato sette anni fa di un delitto, per il quale è risultato estraneo, vicenda da cui gli è derivato un torto morale immenso – ripagato dallo Stato con fior di indennizzi? (…) La leggerezza con cui i media hanno trattato questo caso appare evidente. Più grave è che ad aprire le danze sia stata la televisione, il cui ruolo di servizio pubblico dovrebbe essere garante di ponderatezza e di prudenza. A mio parere la RSI dovrebbe scusarsi.»

J. Il 21 settembre 2010 X. presenta un reclamo al Consiglio svizzero della stampa, chiedendogli di prendere posizione nei confronti di Francesco Lepori, Massimiliano Herber, Eugenio Jelmini ed Edy Salmina: il primo per avere prodotto i due servizi, gli altri per averne autorizzato la diffusione.

Egli ritiene che il giornalista, il capo edizione, il produttore e il direttore del dipartimento dell’informazione della TSI, producendo e autorizzando la diffusione dei citati servizi, hanno palesemente trasgredito i principi formulati della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» e più precisamente le cifre 7 (Rispetto della vita privata) e cifra 8 (Protezione delle vittime).

Citare il nome del dottore non può essere deontologicamente corretto, siccome al momento della diffusione dei servizi egli era indagato e non condannato. Z. non era da equiparare a un personaggio pubblico, malgrado le decine di servizi diffusi su di lui in passato. Essendo l’accusa infamante, si lede la privacy tanto sua quanto della sua famiglia, in particolare quello della vittima. Il reclamante ritiene inoltre che sia stato dato uno spazio sproporzionato ai fatti avvenuti oltre sette anni prima e che si doveva evitare di menzionare più volte la sua malattia psichica.

K. Il 27 settembre 2010, Y. presenta un reclamo al Consiglio svizzero della stampa, chiedendogli di verificare se l’atteggiamento di «ticinonews.ch» e de «Il Caffè» è conforme alla direttiva 7.1 (protezione della sfera privata) e alla direttiva 7.7 (reati sessuali), lasciando decidere al Consiglio se associare o no al procedimento il «Corriere del Ticino», «la RegioneTicino» e il «Giornale del Popolo», per quella che gli sembra una ripresa delle anticipazioni di «ticinonews.ch».

L. Il 10 dicembre 2010, la RSI, tramite il direttore Dino Balestra e il responsabile dell’Informazione Edy Salmina, chiede al Consiglio la reiezione integrale del reclamo, poiché infondato.

La RSI fa notare innanzitutto la natura di «personaggio pubblico» del dottor Z. e il carattere del «caso». In particolare rileva come anche in occasione di questa seconda vicenda il dottor Z. sia da considerare attore protagonista e non vittima: egli ha a disposizione un consulente per la sua difesa e responsabile delle relazioni con i media, il quale, ad esempio, ha spiegato nei dettagli la malattia di cui soffre il medico in occasione di un’intervista a «la Regione» del 23 settembre 2010.

La RSI nega inoltre di avere leso con i due servizi la privacy del dottor Z. Rileva che la divulgazione del nome del dottor Z. era del tutto giustificata, anzi doverosa, siccome egli era «persona comunemente nota», la cronaca era «in relazione a ciò», e cioè a un procedimento penale precedente raffrontabile con quello attuale (presunta violenza in danno di famigliari); che in quanto medico riveste una «funzione sociale dirigente»; la persona stessa essendo già apparsa in pubblico e «acconsentito in altro modo alla pubblicazione». La menzione del nome è giustificata da un interesse pubblico: l’interrogativo sull’idoneità del dottor Z. all’esercizio dell’arte medica, dopo un secondo caso di accuse gravi e in presenza di una non negata patologia psichica, secondo la direttiva 7.2 annessa alla «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista», giustificano l’identificazione. La RSI sottolinea inoltre che la presunzione di innocenza (direttiva 7.4) è stata scrupolosamente rispettata.

Per quanto riguarda la presunta lesione della privacy della presunta vittima e dei due figli, la RSI la contesta integralmente, rilevando che il servizio non ha né fornito le generalità né reso identificabile la presunta vittima del reato. La direttiva 7.7 relativa alla «Dichiarazione» è quindi stata rispettata.

La RSI osserva inoltre che il reclamo di X. concerne unicamente la RSI, mentre nessuna accusa sarebbe mossa al sito online «ticinonews.ch» e da «TeleTicino», dalle quali è stato titolato e scritto che la presunta violenza carnale è stata commessa ai danni della moglie, notizia poi ripresa da due quotidiani il giorno seguente e da «Il Caffè».

M. Il Consiglio della stampa ha invitato tutti i giornali a prendere posizione, ricevendo una risposta da «la Regione Ticino» (29 novembre), «Tele Ticino» (14 dicembre), e dal «Giornale del Popolo» (30 dicembre). Nessuna risposta è giunta dal «Corriere del Ticino» e da «Il Caffè».

– «la Regione Ticino» motiva la rilevanza della notizia riallacciandosi alla prima vicenda penale precedente e sottolinea il fatto di non avere svelato l’identità della vittima se non solo dopo che altri lo avevano fatto.

– «Tele Ticino» premette di convenire che la questione andava valutata in modo più approfondito, precisa che l’indicazione della denunciante-vittima permetteva di circostanziare meglio i fatti a tutela della personalità del presunto colpevole. Sostiene che Z. è un «personaggio pubblico» ma non ritiene che i fatti abbiano a che vedere con quelli del passato. Ricorda anche la decisione del Consiglio della stampa su segnalazione dell’allora Procuratore Generale (presa di posizione 62/2003).

– Il «Giornale del Popolo» rileva di non avere dato eccessiva eco al fatto (nessun richiamo in prima pagina) e che il nome della vittima è stato dato quando già era di dominio pubblico.

N. Il Consiglio della stampa ha trasmesso il reclamo alla sua Prima Camera, di cui fanno parte Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Klaus Lange, Philip Kübler, Sonja Schmidmeister e Francesca Snider. Il presidente della 1. Camera, Edy Salmina, responsabile dell’Informazione alla RSI, si è ricusato.

O. La 1. Camera ha discusso il reclamo nella sua seduta del 5 maggio 2011 e per via epistolare.

II. Considerandi

1. I due reclami sollevano due questioni di fondo. Dapprima è da verificare, in rapporto con la cifra 7 della «Dichiarazione dei doveri» (Rispetto della sfera privata) e l’annessa direttiva 7.2 (Identificazione), se fosse giustificato, dopo l’arresto di Z. , citarne il nome e/o renderlo in altro modo noto con la notizia. In seguito è da verificare, sulla base della cifra 8 della «Dichiarazione» e della direttiva 8.3 (Protezione della vittima), se i media non fossero tenuti a evitare ad ogni modo l’identificazione della vittima (cf. Considerando 3).

2. a) Secondo la cifra 7 della «Dichiarazione», «il giornalista rispetta la sfera privata delle persone, quando l’interesse pubblico non esiga il contrario». La direttiva 7.2 annessa alla «Dichiarazione» (Identificazione) richiede al giornalista di mettere «sempre a confronto il diritto del pubblico all’informazione e il diritto delle persone alla protezione della loro sfera privata» e cita una serie di casi in cui la menzione del nome, e di conseguenza l’identificazione, sono consentite:

– se, in rapporto all’oggetto del servizio, la persona appare in pubblico o acconsente in altro modo alla pubblicazione; – se la persona è comunemente nota all’opinione pubblica e il servizio si riferisce a tale sua condizione; – se riveste una carica politica oppure una funzione dirigente nello Stato o nella società, e il servizio si riferisce a tale sua condizione; – se la menzione del nome è necessaria per evitare un equivoco pregiudizievole a terzi; – se la menzione del nome o l’identificazione è in altro modo giustificata da un interesse pubblico prevalente.

Se l’interesse alla protezione della sfera privata delle persone prevale sull’interesse del pubblico all’identificazione, il giornalista rinuncia alla pubblicazione dei nomi e di altre indicazioni che la consentano a estranei o a persone non appartenenti alla famiglia o al loro ambiente sociale o professionale, e ne verrebbero pertanto informati solo dai media.»

b) Al centro della questione, se la cronaca identificante dell’autunno 2010 sul nuovo «caso Z.» sia deontologicamente giustificata, sono le due trasmissioni del «Quotidiano» del 13 e 14 settembre 2010. A giudizio della RSI, varie ragioni si pongono a giustificazione della menzione del nome nel nuovo «caso Z.». Il Consiglio della stampa le ha considerate con molta apertura, ponendo a confronto le opposte argomentazioni, senza tuttavia impedirsi di giungere a una conclusione opposta:

– Z. era sicuramente assurto a pubblica notorietà a causa del procedimento aperto contro di lui nel 2003 e conclusosi con un’indennità straordinariamente elevata che lo Stato ha dovuto riconoscergli dopo il suo abbandono. Tale notorietà pubblica non si può tuttavia considerare assoluta. La menzione del suo nome sarebbe stata giustificata se connessa con i fatti concreti addebitatigli allora e con l’eccezionale risarcimento dovutogli, ma non lo è in tutti i casi in cui, successivamente, il medico si è venuto o venga a trovarsi. Solo se i nuovi casi fossero in rapporto con quelle situazioni la menzione del nome sarebbe giustificata: ma evidentemente non lo è nel caso specifico.

– Irrilevante, a giudizio del Consiglio della stampa, ai fini della pubblicazione del nome, è il fatto che Z. si esprima attraverso un portavoce. In realtà, egli ha fatto ricorso a tale mezzo solo dopo che, nel caso precedente, i media avevano reso noto la sua identità.

– La professione medica esercitata da Z. potrebbe essere una giustificazione per la menzione del suo nome? Il Consiglio della stampa ha in precedenza legittimato l’identificazione di medici con responsabilità diretta nei casi oggetto dell’informazione, in quanto la notizia si poneva in rapporto diretto con la loro funzione (prese di posizione 7/2005, 9/2003, 66/2002). Questo non è evidentemente il caso nella fattispecie.

– Non sussisteva inoltre – e in ogni caso dopo l’incarcerazione di Z., oggetto del servizio del «Quotidiano» di metà settembre 2011 – alcuna necessità di allertare il pubblico sul pericolo eventuale che egli avrebbe potuto rappresentare. Si può discutere se tale situazione non si sia verificata un mese più tardi, al momento del suo rilascio e della ripresa della sua attività come medico. Il Consiglio della stampa lascia aperto il giudizio su questo punto.

Riassumendo, il Consiglio della stampa constata che non sussisteva, dopo l’incarcerazione di Z. con l’accusa di violenza carnale, un interesse pubblico preminente alla menzione del nome. Il reclamo di X. è, su questo punto, accolto.

c) Gli altri media non possono certo considerarsi liberi da ogni impegno quando un altro organo d’informazione li abbia preceduti menzionando un nome senza giustificazione. Nella fattispecie tuttavia sarebbe servito a poco tacere il nome dopo che l’aveva menzionato per due giorni successivi un organo di ampia diffusione come la televisione svizzera di lingua italiana. Di conseguenza, secondo il Consiglio della stampa, la cronaca identificante degli altri media, successiva a quella diffusa dalla RSI, non era atta a causare un ulteriore notevole danno (v. anche la presa di decisione 6/2003).

3. a) Secondo la cifra 8 della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti», il giornalista è tenuto al rispetto della dignità delle persone e ad avere riguardo per la sofferenza delle vittime e delle persone a loro vicine. La direttiva relativa (8.3) rivolge a chi fa la cronaca di atti di violenza o di situazioni drammatiche l’esortazione a sempre mettere accuratamente a confronto il diritto del pubblico all’informazione e gli interessi della vittima e delle persone coinvolte. Nel caso di reati sessuali (direttiva 7.7), «il giornalista tiene conto in particolare dell’interesse della vittima e non fornisce elementi che ne permettano l’identificazione».

b) Relativamente all’identificazione della vittima, «Il Quotidiano» si è attenuto a queste disposizioni. Nelle due notizie, del 13 e 14 settembre 2010, non erano contenuti elementi che consentissero al pubblico di identificare la vittima. Per questa ragione, e su questo punto specifico, il reclamo di X. è da respingere.

c) Differente è la situazione descritta nel reclamo di Y. La notizia data da «ticinonews.ch» il 14 settembre 2010 («Z. denunciato dalla moglie. La presunta violenza carnale a Nizza») viola chiaramente la disposizione contenuta alla cifra 8 della «Dichiarazione». La circostanza che «Il Quotidiano» avesse in precedenza menzionato il nome di Z. in relazione con l’apertura di un nuovo procedimento contro di lui non giustificava in alcun modo che il nome di sua moglie come presunta vittima fosse reso di pubblico dominio.

Se da un lato può essere seguito il ragionamento di «ticinonews.ch» secondo cui «l’indicazione della denunciante-vittima permetteva di circostanziare meglio i fatti a tutela della personalità del presunto colpevole», dall’altro il giornalista avrebbe, se del caso, potuto dare alla notizia un altro taglio per circostanziare meglio i fatti senza tuttavia fare il nome della moglie (ad esempio dicendo che la vittima era una persona conosciuta dal dottore).

d) Per i tre quotidiani «Corriere del Ticino», «Giornale del Popolo» e «la Regione» la relazione con la notizia data in primizia da «ticinonews.ch» può valere alla stessa stregua di quella relativa alla pubblicazione del nome di Z. (v. considerazione 2c)? Secondo il Consiglio della stampa ciò non è il caso. Innanzitutto l’identificazione della vittima di un (presunto) reato deve essere soggetta generalmente a una grande riservatezza, inoltre il bacino di utenza di «ticinonews.ch» non è paragonabile con quello della RSI, che è di molto superiore. L’identificazione della vittima da parte dei tre quotidiani era pertanto atta a causare ulteriori danni. Di conseguenza le tre redazioni avrebbero dovuto rinunciare a rendere pubblico il fatto, che la denunciante-vittima fosse la moglie del dottor Z. anche dopo la diffusione di tale notizia da parte di «ticinonews.ch».

e) A giudizio del Consiglio della stampa, anche «Il Caffè» ha violato la cifra 8 della «Dichiarazione» con il servizio pubblicato il 17 settembre, in cui, ribadita l’identificazione, si aggiungevano nuovi particolari circa la presunta violenza carnale e contro ogni senso delle proporzioni si mostrava una totale mancanza di riguardo per la vittima.

III. Conclusioni

1. Il reclamo contro la Radiotelevisione svizzera italiana (RSI) è parzialmente accolto.

2. Con la trasmissione dei servizi «Arrestato Z.» (13 settembre 2010) e «Il caso Z.» (14 settembre 2010) la rubrica «Il Quotidiano» della RSI ha violato la cifra 7 (Vita privata) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».

3. La RSI non ha violato la cifra 8 (Protezione della vittima) della «Dichiarazione».

4. Il reclamo contro il «Corriere del Ticino», il «Giornale del Popolo», «Il Caffè», «la RegioneTicino» e «ticinonews.ch» è accolto.

5. Identificando la vittima, essi hanno violato la cifra 8 (Protezione della vittima) della «Dichiarazione».