Nr. 14/2001
Inchieste mascherate

(L'Inchiesta)Presa di posizione del Consiglio svizzero della stampa del 19 gennaio 200

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I. Fatti

A. Regolarmente, la rivista bimestrale «L’Inchiesta (La rivista senza pubblicità per consuma-trici e consumatori)» propone servizi giornalistici per i quali, come puntualmente dichiara negli articoli, raccoglie informazioni con il metodo dell’inchiesta mascherata.

Anche se «L’Inchiesta» è principalmente una rivista per i consumatori, in alcuni casi i suoi contenuti abbracciano temi che si discostano dalla messa in guardia o dal consiglio su un prodotto o su un servizio, come nel caso del servizio sulla prostituzione apparso nel numero di marzo 2000 o di quello sulla massoneria apparsa nel numero di maggio 2000.

B. Il numero di maggio del 2000 de «L’Inchiesta», il cui servizio principale era dedicato alla massoneria ticinese, ha subito un ordine di sequestro supercautelare da parte del pretore di Locarno-Città a causa di un errore di persona in esso contenuto. La questione giudiziaria si è nel frattempo risolta con un accordo fra le parti che comprendeva la rettifica dell’errore.

C. Il caso ha comunque destato un certo scalpore, portando l’editore e redattore responsabile della pubblicazione Matteo Cheda a rivolgersi al Consiglio della Stampa per avere un parere sul proprio operato in materia di inchieste mascherate. Con lettera datata 26 maggio 2000, Cheda sottopone al giudizio del Consiglio della Stampa quattro sue inchieste mascherate (Massoneria, Solarium, Prostituzione, Panini imbottiti), chiedendogli di valutare se in questi quattro casi «L’Inchiesta» abbia agito in modo conforme alle norme deontologiche.

a) Il servizio sulla Massoneria («L’Inchiesta», maggio 2000) propone un articolo principale, «I mille tentacoli dei fratelli ticinesi», e alcuni servizi d’accompagnamento (ad esempio »Chi ammette, chi nega, chi tace – I ticinesi più illustri legati alla massoneria» e «Affari poco chiari nel nome della massoneria») in cui, attraverso un’inchiesta mascherata, si vogliono rendere noti i nomi di personaggi del mondo politico, economico e dei mass media che fanno parte, farebbero parte o sarebbero legati alla massoneria, ‚accusata‘ di influenzare di nascosto politica, economia e televisione.

b) Il servizio sui Solarium («L’Inchiesta», maggio 2000) propone un’inchiesta dal titolo «Abbronza e friggi» in cui vengono esaminati una dozzina di centri ticinesi, mettendo in evidenza il servizio offerto al cliente dal punto di vista della salute. c) Sulla prostituzione («L’Inchiesta», marzo 2000) si propone un servizio sul fenomeno in Ticino: «I big boss ticinesi della prostituzione», in cui vengono pubblicati i nomi dei locali dove la si pratica, i nomi dei proprietari, le tariffe e i nomi di chi sta dietro il business della prostituzione. d) Il servizio sui panini imbottiti («L’Inchiesta», marzo 2000) esamina i prodotti venduti in una dozzina di locali ticinesi, «Imbottiti di germi», in particolare le caratteristiche igieniche del prodotto.

D. Il Consiglio della Stampa ha deciso di sottoporre il caso alla 1. camera, composta da Roger Blum (presidente), Marie-Louise Barben, Luisa Ghiringhelli Mazza, Silvana Iannetta, Kathrin Lüthi, Philp Kübler e Edy Salmina. Il caso è stato trattato nella seduta del 3 novembre 2000.

E. L’Associazione Ticinese dei Giornalisti (Atg) con una lettera del 9 giugno 2000 dichiara la propria perplessità e chiede al Consiglio della Stampa di prendere posizione su alcuni aspetti del lavoro de «L’Inchiesta»: vale a dire sull’uso dell’inchiesta mascherata, sul fatto che tutti gli articoli della rivista siano anonimi e sulla quantità di rettifiche, spontanee o sollecitate, che appaiono sul giornale.

F. Alle osservazioni dell’Atg «L’Inchiesta»risponde in data 14 luglio 2000 rimandando, per quel che riguarda le inchieste mascherate, a quanto già sottoposto al Consiglio della Stampa. Per quel che riguarda l’anonimato degli articoli, «L’Inchiesta»fa notare che serve a tutelare i giornalisti, i quali in un ambiente chiuso come il Ticino metterebbero in pericolo la loro carriera. Il Consiglio della Stampa, d’altronde, non prevede l’obbligo della firma. Circa gli errori de «Inchiesta», il giornale rileva che sono pochissimi e vengono subito rettificati.

G. Nella sua seduta del 3 novembre 2000 la 1. camera del Consiglio della Stampa ha deciso di richiedere all’«Inchiesta» una presa di posizione aggiuntiva a proposito dei casi: «Nel sottobosco della scuola guida» («L’Inchiesta», gennaio 2000) e «Chirurgia, bazar delle tariffe» («L’Inchiesta», gennaio 2000). H. Nella sua risposta Matteo Cheda rileva come nel caso dell’articolo «Nel sottobosco della scuola guida» l’obiettivo fosse smascherare gli accordi cartellari tra i maestri conducenti. Per questo un giornalista, fingendosi un potenziale cliente, aveva contattato tutti i maestri del Ticino per informarsi delle tariffe. Gli accordi cartellari, spiega Cheda, non hanno potuto essere dimostrati; le reazioni negative dei maestri alla pubblicazione dell’articolo sarebbero però un indizio dell’esistenza di questo cartello. Secondo Cheda l’interesse pubblico preponderante giustificherebbe l’agire del giornale.

Nel caso dell’articolo «Chirurgia, bazar delle tariffe» l’obiettivo del giornale – spiega Cheda – era di fare un paragone tra le varie tariffe ospedaliere. Per questo il giornalista aveva chiesto dei preventivi fingendo di essere un paziente. Rivelare l’identità del giornalista, precisa Cheda, avrebbe potuto mettere in allarme gli istituti, che avrebbero così potuto concordare le proprie risposte. Le grandi differenze di tariffe riscontrate – anche tra istituti pubblici – dimostrerebbero l’interesse pubblico preponderante di questa azione.

«L’Inchiesta»coglie l’occasione per sottoporre al Consiglio della stampa altre otto inchieste mascherate pubblicate dal giornale affinché venga presa in esame la loro conformità con le regole deontologiche.

I. Il Consiglio della Stampa ha deciso di limitare il suo esame ai sei casi già presi in considerazione: «Massoneria», «Solarium», «Prostituzione», «Panini imbottiti», «Scuola guida», «Chirurgia ». La presa di posizione è stata emessa durante la seduta della 1. camera del 19 gennaio 2001.

II. Considerandi

1. Dal diritto dell’opinione pubblica all’informazione può essere desunto un interesse pubblico anche sull’agire di imprese ed associazioni private, nella misura in cui questo ha un influsso diretto su fatti e avvenimenti di rilevanza pubblica. La cifra 4 della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» del 21 dicembre 1999 prevede che il giornalista non usi metodi sleali per procurarsi informazioni. Le Direttive del Consiglio della Stampa del 18 febbraio 2000 comprendono sotto questo titolo le inchieste mascherate, precisando che «ricerche discrete sono ammesse (…) quando la pubblicazione o la diffusione dei dati raccolti rivesta un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenerli» (Direttiva 4.2). Non sono comunque ammessi metodi sleali e i giornalisti che effettuano un’inchiesta mascherata non devono assumere un ruolo attivo nei fatti su cui indagano.

2. Nel caso di inchieste che mirano alla protezione del consumatore – come nel caso di articoli sulla sicurezza dei Solarium o l’igiene di prodotti alimentari – non vi è alcun dubbio che esista un interesse pubblico alla pubbblicazione di questo tipo di informazioni. Il giornalista può venir dunque meno al suo dovere di lealtà nel caso in cui l’accesso all’informazione gli venga altrimenti negato, ciò che in indagini di questo tipo può sempre verificarsi. È del resto un metodo di lavoro comunemente utilizzato da rubriche o pubblicazioni destinate ai consumatori.

3. L’approccio de «L’Inchiesta»appare invece poco giustificato in situazioni in cui l’informazione potrebbe essere attinta senza problemi a fonti ufficiali, come nel caso dell’articolo «Scuola guida, ecco l
e tariffe» («L’Inchiesta», gennaio 2000) o dell’articolo «Chirurgia, bazar delle tariffe» («L’Inchiesta», gennaio 2000). In entrambi i casi si trattava di dati tariffali facilmente ottenibili. Per quel che riguarda i maestri di scuola guida le informazioni possono essere richieste direttamente agli interessati o fonite dalle associazioni di categoria citate nell’articolo (Associazione maestri conducenti e Associazione professionisti ticinesi autoscuole). L’articolo non ha comunque potuto dimostrare alcun illecito. Per quanto riguarda le tariffe ospedaliere, «L’Inchiesta»non dimostra che ci sia mancanza di trasparenza da parte degli ospedali. Le tariffe possono comunque essere facilmente verificate sia presso l’amministrazione pubblica del Canton Ticino sia presso l’associazione degli assicuratori malattia (Ftam), le giustificazioni de «L’Inchiesta»secondo cui gli ospedali avrebbero potuto accordarsi sulle risposte sono quindi del tutto infondate. Se, per un verso, sussiste certamente un interesse pubblico a smascherare illeciti o mancanza di trasparenza in questi ambiti – in particolare in quello delle tariffe ospedaliere – per altri aspetti gli articoli non hanno dimostrato la necessità di adottare il metodo dell’inchiesta mascherata per ottenere le informazioni.

4. Un interesse pubblico preponderante non può essere negato neppure per l’inchiesta dedicata al mondo della prostituzione, in cui il giornale rivela i nomi (privati e società anonime) di coloro che si celano dietro il business del sesso a pagamento nella Svizzera italiana, tanto più che l’indagine ha portato alla luce legami con alcuni esponenti politici. In questo caso al giornalista sarebbe stato impossibile accedere alle informazioni dichiarando la propria identità.

5. Meno chiara appare invece la questione dell’inchiesta sulla massoneria, perché, se da un lato è evidente che il giornale non avrebbe avuto accesso alle informazioni palesando la propria identità, non è certo che sia dato un interesse pubblico preponderante. I titoli dei vari elementi dell’inchiesta promettono rivelazioni su comportamenti poco chiari e forse anche illeciti, ma il contenuto degli articoli non li dimostra. Non viene ad esempio dimostrata l’accusa mossa allo Stato di sostenere le logge segrete all’insaputa del cittadino, né viene in alcun modo dimostrato che i massoni «smascherati» dal giornale compiano azioni illegali. L’inchiesta pubblicata ha fatto molto scalpore in Ticino – non solo per la vicenda giudiziaria che l’ha vista protagonista. Agli occhi di chi la legge con attenzione, tuttavia, risalta il fatto che non contiene nessuna informazione veramente rilevante. Un fatto che dimostra quanto sia ambiguo, e quindi contrario ai principi di lealtà e correttezza, spacciare qualsiasi tipo di articolo per un’audace inchiesta mascherata. Il lettore può infatti essere facilmente tratto in inganno dall’alone di «rivelazione» che si nasconde nelle parole «inchiesta mascherata». Nel caso di un’inchiesta mascherata l’interesse pubblico preponderante non deve sussistere esclusivamente al momento della raccolta delle informazioni. L’etica professionale impone al giornalista una valutazione critica del risultato della sua ricerca. E si deve rinunciare a rendere noto il risultato dell’inchiesta quando si debba riconoscere che l’esistenza di un interesse pubblico preponderante non può più essere sostenuta.

6. Dal generale principio di correttezza su cui si deve fondare il lavoro di ogni giornalista deriva anche il principio per cui ogni persona ha il diritto di essere confrontata con eventuali accuse gravi mosse nei suoi confronti. A questo principio si è per altro già appellata in passato «L’Inchiesta», ricorrendo al Consiglio della Stampa (Presa di posizione n. 21/2000 in re «L’Inchiesta» c. «La Regione» del 7 giugno 2000). Il principio «audiatur et altera pars» deve valere anche per chi utilizza il metodo dell’inchiesta mascherata. Non in tutti i casi, nelle sei inchieste prese in esame, il principio è stato seguito rigorosamente. Se in alcuni di essi è stata esplicitamente pubblicata la reazione, in altri casi non è chiaro se chi era toccato non ha voluto rispondere, se il giornale non ha ritenuto degna di pubblicazione la risposta o se semplicemente la risposta non è stata sollecitata. Nell’inchiesta sulla Massoneria è assente qualsiasi reazione della trentina di persone genericamente accusate di «ruotare attorno alla massoneria». E anche nel caso di persone interpellate in seguito, dall’articolo non risulta chiaro se siano state messe al corrente del taglio accusatorio della pubblicazione: non si sa quindi se sono state veramente poste nella condizione di prendere posizione su accuse o sospetti sollevati nei loro confronti. Nel servizio «Solarium» non è chiaro quali siano state le reazioni degli istituti qualificati dal test come insufficienti. Nel servizio sulla prostituzione avrebbero dovuto essere interpellati tutti coloro cui nell’articolo vengono rinfacciate pratiche illegali. Il giornale si limita invece a riportare alcune reazioni. Questo modo di procedere è seguito anche nel caso «Panini imbottiti», in cui sono riportate solo le reazioni di tre dei quattro dei locali il cui prodotto viene considerato insufficiente. In «Scuola guida», l’articolo sulle tariffe non muove particolari accuse ai maestri interpellati, una verifica delle reazioni di ognuno alla pubblicazione dell’inchiesta non appare quindi indispensabile. In quello sulla chirurgia sono riportate solo le reazioni di alcuni degli istituti coinvolti. Dalle risposte non risulta inoltre chiaro se con gli interpellati sia stato esplicitamente affrontato il tema delle differenze tariffarie e della mancanza di trasparenza. Al lettore non vengono dati sufficienti elementi per capire la fondatezza o l’infondatezza delle accuse.

7. I dubbi sollevati dall’Associazione Ticinese dei Giornalisti a proposito della qualità del lavoro de «L’Inchiesta»sono troppo generici per consentirci di prendere posizione. È quindi encomiabile la dichiarazione de «L’Inchiesta»che afferma di rettificare puntualmente tutti i propri errori. Il vezzo di molti giornali di omettere qualsiasi rettifica non sollecitata non ne aumenta la qualità. «L’Inchiesta»è comunque una rivista che si rivolge ai consumatori, di cui ricerca la fiducia già nella testata, ove si dichiara di rifiutare qualsiasi forma di pubblicità per dimostrare la propria imparzialità. Tutto questo desta nel lettore grandi aspettative dal punto di vista della serietà dei contenuti, aspettative forse maggiori di quelle rivolte ad altri mass media. In un ambito così delicato è lecito aspettarsi dal giornalista una particolare vigilanza e un particolare rigore.

8. Nella «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista», come nelle Direttive del Consiglio della Stampa, non è previsto un obbligo di firmare gli articoli, anche se il giornalista ha il dovere di tralasciare accuse anonime (cifra 7 dei «Diritti e doveri»). La scelta editoriale de «L’Inchiesta»di pubblicare in forma anonima tutti gli articoli, lasciando tutta la responsabilità al responsabile legale, non è quindi in contrasto con la «Dichiarazione dei diritti e dei doveri». Secondo il Consiglio della stampa, pubblicare il nome dell’autore dell’articolo potrebbe tuttavia essere coerente con la richiesta di trasparenza fatta alle persone oggetto dei servizi.

III. Conclusioni

1. Dal diritto dell’opinione pubblica all’informazione può essere desunto un interesse pubblico a conoscere l’agire di imprese ed associazioni private, nella misura in cui ha un influsso diretto su fatti e avvenimenti di rilevanza pubblica. Le inchieste mascherate sono quindi eccezionalmente lecite anche in questo ambito, quando sussiste un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenere i dati necessari. Non sono comunque ammessi metodi sleali e i giornalisti che effettuano un’inchiesta mascherata non devono assumere un ruolo attivo nei fatti su cui indagano. Il principio «audiatur et altera pars» si appl
ica anche in caso di inchieste mascherate che portano a gravi accuse.

2. «L’Inchiesta»ha violato la cifra 4 della «Dichiarazione dei diritti e dei doveri del giornalista» in quelle occasioni in cui, utilizzando il metodo dell’inchiesta mascherata, non ha perseguito un interesse pubblico preponderante oppure poteva ricorrere ad altri metodi per procurarsi le informazioni. Nei casi «Scuola guida» e «Chirurgia» l’uso del metodo dell’inchiesta mascherata non è giustificato, in quanto i dati pubblicati dal giornale potevano essere facilmente ottenuti in altro modo.

3. «L’Inchiesta»ha violato la cifra 7 della «Dichiarazione dei diritti e dei doveri del giornalista» nel servizio «Massoneria» poiché l’appartenenza alla massoneria è un fatto privato e l’articolo non dimostra che abbia un influsso diretto su fatti e avvenimenti di rilevanza pubblica. L’interesse pubblico preponderante non deve sussistere unicamente al momento dell’inizio dell’indagine. Nel caso specifico è al momento di decidere se pubblicare che si doveva constatare che era venuto meno proprio l’interesse pubblico preponderante.

4. «L’Inchiesta»ha violato la cifra 3 e la cifra 7 della «Dichiarazione dei diritti e dei doveri del giornalista» negli servizi «Massoneria», «Solarium», «Prostituzione», «Panini imbottiti» e «Chirurgia», formulando gravi accuse senza dare spazio adeguato alle prese di posizione di tutte le persone messe in causa dai vari articoli.