Nr. 16/2006
Menzione del nome / Presunzione di innocenza / Dovere di ascolto in caso di addebiti gravi / Ricerca della verità

(X. c. «la Regione Ticino») Presa di posizione del 17 febbraio 2006

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I. I fatti

A. «La Regione Ticino» ha pubblicato il 2 settembre 2005 un articolo intitolato: «Devono al fisco 17 milioni», e recante il sottotitolo: «Si delinea il profilo dei reati fiscali imputati agli avvocati X. Dieci anni di averi e redditi non dichiarati per cifre impressionanti». L’articolo, preceduto in prima pagina da una foto e da un sommario, occupava quasi una mezza pagina interna, con la ripetizione della foto ritraente la targhetta d’ingresso e l’indirizzo dello studio legale.

L’autore dell’articolo, Daniele Fontana, vicedirettore del foglio, riferisce di una sentenza pronunciata l’8 agosto 2005 dalla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale circa una domanda di levata dei sigilli presentata dall’Amministrazione federale delle contribuzioni e avente per oggetto documenti sequestrati durante una perquisizione effettuata nel febbraio precedente nello studio legale X. La sentenza, che accorda la levata dei sigilli, contiene informazioni dettagliate circa un’indagine svolta dall’autorità fiscale federale a carico dei coniugi avvocati Y. e Z. X.

Y. X., 69 anni, è un professionista noto a Lugano, dove per molti anni ha gestito un proprio studio legale, di cui è rimasto consulente anche dopo averlo trasferito, alla fine del 2000, alla moglie sposata da poco. L’autorità fiscale federale vanta nei confronti dei coniugi X. pretese per un importo complessivo, per il periodo 1993 – 2002, di 17 milioni di franchi tra imposte non pagate, multe fiscali e interessi di ritardo. Nella sentenza si citano conti bancari non dichiarati, intestati a società di tipo «off shore», e si accenna a una partecipazione dell’avvocato a reati fiscali commessi da una terza persona, tramite la messa a disposizione di propri conti bancari. La consorte avrebbe partecipato alle sottrazioni fiscali del marito, di cui era a conoscenza. Nella sentenza, il Tribunale penale federale constata che l’Amministrazione federale delle contribuzioni fonda i suoi sospetti sulla base di documenti e operazioni contabili ben precisi: i sospetti parrebbero perciò sufficientemente circostanziati e oggettivamente fondati. Da qui l’accoglimento della richiesta di levata dei sigilli sui documenti oggetto del sequestro. Nella cernita dei documenti dissigillati si sarebbe comunque dovuto tener conto del segreto professionale dell’avvocato.

Nell’articolo è detto infine che Y. X. è stato dal 1968 al 1992 giudice supplente del Tribunale d’Appello e che negli anni Ottanta fu l’avvocato del faccendiere Flavio Carboni. In quanto legale di costui, X. venne accusato di ricettazione, ma l’accusa fu successivamente abbandonata.

B. Lo stesso giorno della pubblicazione, i legali dei coniugi X. hanno richiesto a «La Regione» il diritto di risposta.

C. Il 5 settembre 2005 il direttore de «La Regione», Matteo Caratti, ha respinto la richiesta per mancanza dei requisiti legali.

D. Il 12 ottobre 2005 i legali dei coniugi X. hanno presentato al Consiglio della stampa un reclamo contro «La Regione», in cui sostengono che nell’articolo del 2 settembre 2005 sono state violate le seguenti Direttive allegate alla «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista»: Presunzione d’innocenza (7.5), Menzione dei nomi (7.6), Dovere di ascolto in caso di addebiti gravi (3.8.), Rispetto della verità (1.1), rispettivamente Dovere di ricercare la verità (cifra 1 della «Dichiarazione»).

Trovandosi la procedura in uno stadio preliminare, la menzione dei nomi non sarebbe giustificata. Anche nella sentenza della Corte dei reclami penali pubblicata in Internet i nomi non erano menzionati.

Presentando gli addebiti mossi ai coniugi X. come fatti accertati nel titolo e nel sottotitolo dell’articolo, il giornale avrebbe violato il principio della presunzione di innocenza. Pure lesivo della presunzione di innocenza sarebbe stato citare episodi risalenti agli anni Ottanta, nei quali l’avvocato X. era stato integralmente scagionato. La circostanza non avrebbe alcun rapporto con l’inchiesta fiscale.

Per la gravità dell’accusa di sottrazione fiscale loro mossa, gli istanti avrebbero dovuto in ogni casi venire ascoltati prima della pubblicazione.

Infine, «La Regione» avrebbe citato in modo impreciso la sentenza del Tribunale penale federale dell’8 agosto 2005. Sarebbe falso che il Tribunale abbia respinto un «ricorso». In un primo tempo, infatti, l’Amministrazione federale delle contribuzioni avrebbe voluto esaminare senza restrizioni i documenti sequestrati. A questa pretesa gli istanti si sarebbero opposti, con il sostegno dell’Ordine ticinese degli avvocati e a tutela degli interessi dei loro clienti; perciò avrebbero fatto sigillare quegli atti e richiesto che l’autorità fiscale ne potesse prendere visione soltanto dopo ispezione preventiva di un tribunale o di un giudice da esso delegato, avendo cura di non violare il loro segreto professionale e gli interessi dei loro clienti. Tale loro posizione giuridica sarebbe stata confermata dalla sentenza: gli ispettori del fisco non sarebbero autorizzati a decidere autonomamente quali documenti sono utilizzabili per la loro inchiesta e quali invece sono coperti dal segreto professionale.

E. L’11 novembre 2005 l’autore dell’articolo ha proposto al Consiglio della Stampa la reiezione del reclamo. La menzione dei nomi sarebbe giustificata da un interesse pubblico predominante, descrivendo l’articolo un fatto di eccezionale gravità: la perquisizione operata dall’autorità fiscale a carico dello studio legale degli Avvocati X. e la relativa sentenza del Tribunale penale federale. L’avv. X. sarebbe una personalità ampiamente conosciuta nella regione, per la sua funzione di giudice supplente del Tribunale d’appello e per la sua qualità di legale, a suo tempo svolta, di un cliente coinvolto nella torbida vicenda del Banco Ambrosiano. La sentenza del Tribunale federale aveva inoltre indotto due deputati (uno a livello cantonale, uno a livello comunale) a presentare interrogazioni relative a eventuali sottrazioni che potessero avere danneggiato il Cantone o il Comune di Lugano.

F. Il Consiglio della Stampa ha demandato il reclamo alla 1. Camera, presieduta da Peter Studer e composta dei membri Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Philip Kübler, Katharina Lüthi, Edy Salmina e Francesca Snider.

G. La 1. Camera ha discusso il reclamo nella sua seduta del 17 febbraio 2006, e in seguito per via di corrispondenza. Luisa Ghiringhelli Mazza ed Edy Salmina si sono autoricusati.

H. «La Regione» ha informato ancora successivamente, il 2 novembre e il 5 dicembre 2005, circa il seguito del procedimento fiscale.

II. Considerandi

1. a) La cifra 7 della «Dichiarazione» impegna i giornalisti al rispetto della sfera privata delle persone, quando l’interesse pubblico non esiga il contrario. Secondo la Direttiva 7.6 allegata alla «Dichiarazione», di regola i giornalisti non pubblicano né il nome né altre indicazioni idonee a rivelare a terzi (cioè a persone estranee alla sua famiglia e all’ambiente sociale e professionale cui appartiene) l’identità di una persona coinvolta in un procedimento giudiziario. La stessa Direttiva ammette tuttavia alcune eccezioni:

– quando esiste un interesse pubblico predominante (clausola generica quanto al contenuto);

– quando la persona riveste una carica politica o una funzione pubblica e l’accusa riguarda atti in relazione con tale funzione; quando la pubblicazione del nome è strettamente necessaria per evitare confusioni od omonimie;

– quando la persona gode di notorietà pubblica, e i media se ne siano già occupati nel caso specifico (eccezione da interpretare restrittivamente);

– quando la persona vi abbia esplicitiamente consentito.

b) Nella Presa di posizione 7/2005,
riguardante la menzione del nome di un farmacista, il Consiglio della Stampa affermava che, pur non essendo pubblica in senso stretto, e svolta professionalmente in forma autonoma, dipende da un’autorizzazione dello Stato a esercitare in un ambito di monopolio. «Per analogia con la menzione del nome di un pubblico funzionario, la menzione del nome di una persona in una posizione professionalmente analoga a quella è in linea di principio giustificata se l’interessato vi svolge un ruolo direttivo». Anche in Prese di posizione precedenti (66/2002; 9/2003, nel caso della menzione del nome di un medico), il Consiglio della Stampa si era attenuto a questo orientameno. «La menzione del nome è lecita in via eccezionale quando riguarda una persona che occupa una posizione socialmente rilevante e quando l’argomento del servizio giornalistico è strettamente in relazione con la funzione che essa svolge. Entrambe le condizioni sono evidentemente rispettate se il servizio riguarda il titolare di una farmacia oggetto di una procedura amministrativa in relazione con la preparazione e la vendita di una discussa crema a base di ormoni».

c) Per quanto riguarda i criteri che definiscono la liceità della menzione del nome, l’attività di un avvocato indipendente appare del tutto analoga a quella di un medico o di un farmacista che esercita in proprio. La contestazione di una grave irregolarità fiscale contro l’istante non riguarda soltanto la sua sfera privata ma si riferisce chiaramente all’attività professionale da lui esercitata come indipendente. Il suo studio legale, pur essendo stato nel frattempo trasferito a Milano, è (e comunque era) ben conosciuto a Lugano, e dai media era stato oggetto di interessamento, sia pure in un lontano passato e per altre circostanze. Il 9 aprile 2005, «La Regione» aveva riferito di una perquisizione dello studio legale ordinata dall’autorità fiscale senza apparente reazione da parte degli istanti. Per queste ragioni, la menzione del nome da parte de «La Regione» non può essere criticata per la deontologia professionale, e ciò indipendentemente dalla circostanza, evocata dagli istanti, che la procedura si trova ancora in una fase preliminare. Il Consiglio della Stampa ha sempre ammesso, a partire dalla Presa di posizione sul principio 6/1994, che non esiste obbligo di attendere l’esito finale di un procedimento per la pubblicazione del nome. La pubblicazione è da considerare legittima già durante l’inchiesta quando siano soddisfatte le condizioni che giustificano un’eccezione al principio del resoconto anonimizzato.

2. a) La Direttiva 7.5 annessa alla «Dichiarazione» fa obbligo al giornalista di tenere conto, nei resoconti giudiziari, della presunzione di innocenza. Per prassi costante del Consiglio della Stampa (si confrontino, tra altre, le Prese di posizione 60 e 61/2003 e 6/2005), tale condizione è rispettata se nel servizio giornalistico è precisato che il giudizio non è stato ancora emesso, oppure che non è cresciuto definitivamente in giudicato. Dall’articolo contestato de «La Regione» risalta chiaramente che il giudizio del Tribunale penale federale del 5 agosto 2005 è soltanto un atto intermedio nell’ambito di un’indagine fiscale in corso. Sarebbe stato certo meglio aggiungere un punto interrogativo al titolo «Devono al fisco 17 milioni», come del resto il direttore de «La Regione», Matteo Caratti, spontaneamente metteva nella lettera del 5 settembre 2005 con cui respingeva il richiesto diritto di risposta.

b) Nella Presa di posizione 32/2000 il Consiglio della Stampa precisava anche quanto segue: «Trasformare, nel titolo o nell’ingresso di un articolo, un’accusa penale in un fatto accertato, in quanto falsa la realtà invece di precisarla, è di per sé illecito, perché tale da relativizzare il contenuto del servizio». Ciò perché quella parte del pubblico che scorre superficialmente il giornale ne trae un’impressione falsa rispetto alla realtà. Nella Presa di posizione 61/2003, il Consiglio ha ritenuto leso il principio della presunzione di innocenza anche per il semplice titolo: «Abuso di una donazione» (Spendenmissbrauch) stampato su una locandina: «Il lettore dell’affisso, che non legge l’articolo, può trarne l’errata conclusione che l’indebita appropriazione sia oggetto di una sentenza definitiva». Nel seguito di quella Presa di posizione veniva per altro constatata la correttezza del titolo e del sottotitolo pubblicati nel giornale vero e proprio, come pure la correttezza dell’articolo, ove la provvisorietà dell’accusa era correttamente manzionata.

c) Neppure all’attenzione distratta di un lettore frettoloso può sfuggire che il titolo «Devono al fisco 17 milioni» da solo non regge, va posto necessariamente in relazione con il sottotitolo. Per sé, infatti, il titolo non precisa chi deve al fisco 17 milioni e perché li deve. Leggendo il sottotitolo: «Si delinea il profilo dei reati fiscali imputati agli avvocati X. Dieci anni di averi e redditi non dichiarati per cifre impressionanti», si chiarisce invece subito che si tratta di un’accusa e che la procedura non è conclusa. Lo precisa esplicitamente il termine:«imputato». Stando così le cose, una violazione della Direttiva 7.5 non può essere affermata.

3. La Direttiva 3.8 annessa alla «Dichiarazione» prescrive che la persona cui si muove un addebito grave deve essere ascoltata, e la sua presa di posizione riferita, sia pure brevemente, nel contesto dell’articolo. Era un sospetto pesante quello divulgato dalla notizia, che l’istante fosse sospettato di aver sottratto al fisco somme dell’ordine di milioni. I coniugi X. avrebbero perciò dovuto essere ascoltati prima di pubblicare l’articolo. Anche successivamente, «la Regione» avrebbe dovuto almeno precisare che l’opposizione di Y. e Z. X. al procedimento avviato dall’autorità fiscale non era soltanto di forma ma anche di sostanza.

4. Nella pubblicazione della sentenza della Corte dei reclami penali del 5 agosto 2005 il Consiglio della Stampa non ravvisa, diversamente da quanto sostenuto dagli istanti, una violazione del dovere di rispetto della verità (Direttiva 1.1) e di quello di ricerca della verità (cifra 1 della «Dichiarazione»). Al di là dell’imprecisione commessa usando il termine «ricorso» contro la sigillazione, l’articolo nel suo insieme riferisce correttamente che la Corte ha accolto la richiesta, che i coniugi De Pietro contestavano, di apertura dei sigilli. Coerente con questa decisione è l’assegnazione di una tassa di giustizia. «La Regione» ha riferito pure in modo trasparente dell’ingiunzione al rispetto del segreto professionale, durante la levata dei sigilli, che pure la sentenza conteneva.

III. Conclusioni

1. Il reclamo è parzialmente accolto.

2. Con la pubblicazione dell’articolo «Devono al fisco 17 milioni» del 2 settembre 2006, «La Regione» ha violato la Direttiva 3.8 annessa alla «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista». Gli avvocati X. avrebbero dovuto essere ascoltati circa l’accusa di avere sottratto al fisco somme dell’ordine di milioni.

3. Per il rimanente, il reclamo è respinto.