I. I fatti
A. Il 23 febbraio 2006 in un articolo dal titolo «Sono accusati di 263 furti» e sottotitolo «Alla sbarra due ‹topi d’appartamento› italiani» il Corriere del Ticino (in seguito CdT) pubblicava il nome di due presunti ladri italiani che avevano svaligiato appartamenti tra maggio 2001 e febbraio 2005, prevalentemente in Ticino, ma anche nei cantoni San Gallo, Vallese, Friborgo, Vaud, Berna, Svitto, Nidwaldo, Grigioni, Lucerna, Appenzello Esterno, Obwaldo, Turgovia e Zurigo e che sono stati processati dalle Assise Criminali.
B. In data 20 febbraio 2007 il signor X. scriveva al Consiglio della Stampa lamentandosi per il fatto che nell’articolo citato sono stati pubblicati i nomi dei due ladri, persone sconosciute al pubblico e che non rivestono alcuna funzione pubblica. Rilevando che si tratta in sostanza di ladri che nella scala sociale del mondo della malavita non rivestono una posizione particolarmente elevata, mentre nello stesso giornale due pagine dopo mantiene invece il riserbo sul nome di un personaggio molto più influente, un imprenditore processato davanti alle Assise Correzionali per ripetuta ricettazione, cattiva gestione e omissione della contabilità insieme a un vice direttore di banca, chiamato a rispondere di amministrazione infedele ripetuta e aggravata, nonché di truffa.
Il signor X. è sicuro che il nome dell’imprenditore poteva certamente essere fatto nel rispetto del codice deontologico dei giornalisti, siccome il suo reato è in diretta relazione con la sua funzione pubblica. Afferma che l’interesse del pubblico a conoscere il nome dell’imprenditore era chiaramente preponderante rispetto all’interesse privato a non divulgarlo.
Quindi il signor X. contesta la disparità di trattamento tra i due ladri e l’imprenditore edile, scrivendo che invece di pubblicare il nome del personaggio importante e omettere il nome dei due personaggi, il CdT fa l’esatto contrario.
Il signor X. ritiene altresì che non può essere il solo fatto di essere processati davanti alle Assise Correzionali o Criminali a tracciare una linea di demarcazione tra i casi in cui il nome dell’accusato può essere pubblicato sul giornale e i casi invece dove il nome non viene pubblicato. La pena proposta dal Procuratore pubblico si basa infatti sui criteri previsti dalle norme penali e dalla giurisprudenza, mentre il nome dell’accusato o del condannato può essere pubblicato sul giornale solo se il codice deontologico dei giornalisti lo consente.
Il reclamo si conclude con l’ammissione che l’omissione del nome della banca e del nome dell’imprenditore non costituisce una violazione del codice deontologico, mentre la pubblicazione a pagina 13 del nome dei due ladri si. Infatti non esisteva alcun interesse pubblico predominante a conoscere il nome dei due ladri. E nemmeno era data un’altra eccezione prevista dalla direttiva 7.6 relative alla «Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti».
C. Nella risposta del 22 marzo 2007 il direttore del CdT, Giancarlo Dillena, osserva che è prassi costante dei media ticinesi distinguere tra i processi davanti alle Assise Criminali e a quelli davanti alle Assise Correzionali, ovvero che i nomi delle persone processate davanti alle Criminali vengono pubblicati (con l’eccezione dei casi in cui occorre tutelare le vittime, in particolare di abusi sessuali), mentre i nomi delle persone che sono processate alle Correzionali non vengono pubblicati (a meno che non vi sia un sostanziale e predominante interesse pubblico).
Secondo Giancarlo Dillena per il processo dei due ladri, che si è svolto davanti alle Assise Criminali, è stato corretto pubblicare i nomi, considerato inoltre che è avvenuto in un periodo di particolare sensibilità su questo tema, poiché il Cantone era (e lo è tuttora) preso di mira da bande organizzate molto attive. La questione ha suscitato notevole allarme nella popolazione, dando luogo ad atti parlamentari e all’adozione, da parte della Polizia, di misure supplementari di prevenzione e repressione. Inoltre voci insistenti attribuivano la responsabilità di questi atti a persone di specifici gruppi etnici.
Conclude il suo scritto affermando che il suo giornalista si è attenuto ad una prassi consolidata e non entra nel merito degli aprezzamenti del reclamante per quanto riguarda il caso dell’imprenditore.
D. La Presidenza del Consiglio della stampa ha incaricato di trattare il caso la Prima Camera, composta da Peter Studer (presidente), Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Philip Kübler, Kathrin Lüthi e Francesca Snider. Edy Salmina si è ricusato.
E. La Camera ha discusso il reclamo nella seduta del 13 luglio 2007 e in seguito per corrispondenza.
II. Considerandi
1. La cifra 7 della «Dichiarazione» impone al giornalista di rispettare la vita privata delle persone, quando l’interesse pubblico non esiga il contrario e di tralasciare accuse anonime e concretamente ingiustificate.
2. La direttiva 7.6, menzione dei nomi, recita: «Tenuto conto delle direttive che precedono, di regola i giornalisti non pubblicano il nome né altre indicazioni idonee a rivelare a terzi (cioè a persone estranee alla sua famiglia e all’ambiente sociale e professionale cui appartiene, che cioè potrebbero venirne a conoscenza solo attraverso gli organi d’informazione) l’identità di una persona coinvolta in un procedimento giudiziario. Sono ammesse le seguenti eccezioni:
– quando esiste un interesse pubblico predominante; – quando la persona riveste una carica politica o una funzione pubblica e l’accusa riguarda atti incompatibili con questa sua carica o funzione; – quando la persona gode di notorietà pubblica (questa eccezione va comunque interpretata restrittivamente e si applica solo nel caso in cui l’accusa è in relazione con questa sua notorietà); – quando è la stessa persona ad essersi pubblicamente esposta in relazione con il procedimento; oppure accetti esplicitamente di essere come tale riconosciuta; – quando la pubblicazione del nome è strettamente necessaria per evitare confusioni od omonimie.»
3. L’articolo pubblicato ossequia senza dubbio la prassi citata dal direttore del CdT, e cioè che vengono pubblicati di regola i nomi delle persone processate davanti alle Criminali (con l’eccezione dei casi in cui occorre tutelare le vittime), mentre non vengono pubblicati i nomi delle persone processate davanti alle Correzionali (a meno che non vi sia un sostanziale e predominante interesse pubblico).
4. Bisogna pertanto chiedersi se tale prassi è conforme alle direttive del Consiglio della Stampa.
Si concorda con il signor X. quando scrive che il codice deontologico dei giornalisti non può delegare al Procuratore Pubblico il compito di tracciare una linea di demarcazione tra i casi in cui il nome dell’accusato può essere pubblicato sui giornali e i casi invece dove il nome non viene pubblicato, poiché i giornalisti sono tenuti a valutare la pubblicazione del nome alla luce delle norme della deontologia professionale, senza riguardo inoltre del fatto che l’identità dell’inchiestato sia stata comunicata ufficialmente.
Secondo questo consiglio nel caso concreto l’indicazione di uno pseudonimo, del nome della banda e/o della provenienza dei due presunti ladri potevano largamente bastare per informare correttamente il pubblico, non esistendo un interesse pubblico predominante alla pubblicazione dei nomi integrali. Il fatto che un processo si svolga davanti alle Assise Criminali o alle Assise Correzionali è da considerare quale uno tra vari altri indizi che concorrono nella valutazione se tale interesse pubblico esista. L’indicazione del nome non può essere giustificata unicamente dalla gravità del delitto commesso (decisione 6/2003), in questo caso ad esempio non era n
ecessaria la pubblicazione per proteggere il pubblico.
Il Consiglio della Stampa ricorda che le norme deontologiche delle «direttive», tra cui le regole della citazione del nome, devono essere applicate in tutta la Confederazione da tutti i giornalisti attivi nei Media.
5. Per quanto riguarda la mancata pubblicazione del nome dell’imprenditore il Consiglio della Stampa ha avuto modo di stabilire in un caso di un procedimento penale contro una ginecologa accusata di avere provocato la morte di una sua paziente per un errore medico, che il giornale avrebbe potuto pubblicare il nome della ginecologa, ma che non si poteva dedurre da ciò un obbligo alla pubblicazione del suo nome (25/2005).
III. Conclusioni
1. Il reclamo è accolto.
2. Con la pubblicazione dell’articolo «Sono accusati di 263 furti» nell’edizione del 23 febbraio 2006 il «Corriere del Ticino» ha violato la cifra 7 (rispetto della sfera privata) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».
3. Si auspica che il giornalista valuti caso per caso la necessità di pubblicare il nome alla luce delle norme della deontologia professionale, senza riguardo al fatto che l’identità dell’inchiestato sia stata comunicata ufficialmente o che il processo si svolga davanti alle Assise Criminali o alle Assise Correzionali.