I. I fatti
A. Nel giugno 2006 il giornalista del mensile «Spendere Meglio» Guido Gusberti contatta per iscritto il signor X., parrucchiere, e lo informa che, a seguito di un confronto dei prezzi di oltre 200 parrucchieri, avrebbe pubblicato sul prossimo numero di «Spendere Meglio» i risultati, comprensivi anche dei prezzi espressi da lui telefonicamente.
In data 8 giugno 2006 il signor X. risponde alla rivista «Spendere Meglio» diffidandoli a non pubblicare tale articolo, in quanto egli afferma di aver ricevuto ambigue telefonate e di aver appositamente indicato a questi presumibili clienti un prezzo esagerato, invitando tali persone a passare nel suo salone a leggere di persona il listino prezzi.
In data 13 giugno 2006 il signor X. e il signor Guido Gusberti hanno avuto un colloquio telefonico durante il quale il signor X. ha invitato il signor Gusberti a passare nel suo salone, così da poter confrontare i prezzi attribuitigli a quelli del listino.
B. Nel numero 4 dell’agosto 2006 appare l’articolo intitolato «Al bazar dei parrucchieri». Il sottotitolo precisa «I prezzi di 230 saloni a confronto in Ticino e dintorni. Le differenze sono enormi». Nella tabella di pag. 11 sono indicati i prezzi del salone Y.
Nell’articolo si specifica che «i parrucchieri hanno potuto formulare le loro osservazioni» e che non tutti hanno apprezzato l’indagine di «Spendere Meglio»; Z. di V. si è addirittura rivolto a un avvocato, il quale ha diffidato la redazione dal pubblicare i prezzi di questo salone. L’articolo riporta l’affermazione del legale di questo salone «L’obbligo di indicare i prezzi non comporta un dovere di collaborazione con chi intende costruire un servizio giornalistico con metodi subdoli» e precisa che «Spendere Meglio» «non ha tenuto conto di questa richiesta e ha pubblicato anche i prezzi del salone Z. (vedi tabelle).»
C. In data 13 settembre 2006 il signor X. invia un reclamo al Consiglio Svizzero della Stampa contro il giornalista Gusberti, accusandolo di avere dei comportamenti professionali alquanto discutibili e quasi arroganti e chiedendo loro di prendere posizione in merito all’articolo pubblicato su «Spendere Meglio».
Il Consiglio della Stampa invita il signor X. a specificare quali punti della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti dei giornalisti» siano stati secondo lui violati.
L’8 ottobre 2006 il signor X. informa il Consiglio Svizzero della Stampa che a suo avviso sono le direttive 1.1 (Il rispetto della verità), 4.1 (Identità celata) 4.2 (Ricerche discrete) 4.5 (L’intervista) 4.6 (Colloqui informativi) e 5.1 (Il dovere della rettifica) e le cifre 3 (Omissione di informazioni) della «Dichiarazione dei diritti e dei doveri del giornalista» e rileva che «la vostra ‹Dichiarazione dei doveri e dei diritti› e le sue direttive mi sembrano (…) materiale per addetti ai lavori. Elencare quali articoli siano stati violati nell’articolo che mi riguarda non è stato un lavoro semplice. Non è esagerato pretendere questo da un semplice cittadino?».
D. Nella sua risposta 24 novembre 2006 Matteo Cheda, caporedattore di «Spendere Meglio», respinge ogni addebito, rilevando che i prezzi sono stati pubblicati nonostante la diffida perché:
«- X. ha confermato (sia per iscritto sia nel successivo colloquio telefonico) di aver fornito proprio quei prezzi (che lui reputa ‹esagerati›).
– I parrucchieri sono tenuti per legge a indicare i prezzi.
– Non è realistico pretendere che il giornalista visiti personalmente 230 saloni sparsi per il Ticino e il nord Italia quando i prezzi o eventuali correzioni possono essere forniti per telefono o per iscritto.»
e rispondendo sui punti contestati come segue: «1.1 Rispetto della verità. I prezzi indicati sono quelli forniti da X. durante la telefonata che trova conferma nella lettera. X. non ha mai comunicato prezzi diversi da quelli indicati. E’ pretestuoso pretendere che il giornalista si presenti nel salone per la comunicazione di un prezzo.
– 3. Omissione di informazioni importanti. Non è stata omessa alcuna informazione importante.
– 4. Identità celata e ricerche discrete. Le ricerche discrete sono ammesse quando la pubblicazione o la diffusione dei dati raccolti rivesta un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenerli. In questo caso l’interesse pubblico è evidente (confronto prezzi) e i dati sono stati raccolti tramite due canali: la telefonata ‹discreta› e la successiva lettera ai saloni su carta intestata del giornale. X. afferma di aver dato prezzi ‹esagerati› durante la telefonata rispetto a quanto indicato nel tariffario. Questa è la prova che esisteva un interesse pubblico preponderante alla ricerca discreta. Per i parrucchieri dove i prezzi rilevati tramite i due canali erano identici, i risultati della ricerca discreta non sono stati usati.
– 4.5 L’intervista. Non è mai stata pubblicata alcuna intervista a X.
– 4.6. Colloqui informativi. Non vi è stata alcuna violazione delle regole di lealtà.
– 5. Rettifica. X. non ci ha mai inviato prezzi diversi da quelli rilevati telefonicamente e che abbiamo indicato nella nostra lettera del 2 giugno 2006.»
Matteo Cheda, sostenendo che la prassi attuale non è chiara, chiede che il Consiglio della Stampa faccia chiarezza su una questione di fondo, ovvero: in caso di reclami al Consiglio della Stampa a chi incombe l’onere della prova sul rispetto della verità? Al giornalista oppure a chi reclama? Matteo Cheda conclude affermando che X. non deve fare altro che mandar loro i suoi prezzi per taglio uomo, barba, taglio donna, mèches e colore. Se questi prezzi dovessero essere diversi da quelli pubblicati su «Spendere Meglio» di agosto 2006, procederanno volentieri alla rettifica.
E. Il 5 dicembre 2006 il Consiglio della stampa ha dichiarato chiuso lo scambio epistolare e comunicato alle parti che il caso sarebbe stato discusso dalla prima camera, di cui fanno parte Peter Studer (presidente), Pia Horlacher, Kathrin Lüthi, Philip Kübler e Francesca Snider. Edy Salmina e Luisa Ghiringhelli Mazza si sono ricusati.
F. Il 10 dicembre 2006 il signor X. scrive nuovamente al Consiglio della Stampa, dichiarando che per lui è importante chiarire l’aspetto della lealtà e chiedendo se il cittadino è obbligato a partecipare alle inchieste secondo le regole dettate dal giornale.
G. La prima camera ha discusso il caso nelle sue sedute del 19 gennaio e 11 maggio 2007.
II. Considerandi
1. Il reclamante sottopone al Consiglio della Stampa la questione a sapere se non sia esagerato pretendere da un semplice cittadino di elencare nel proprio reclamo quali articoli della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» siano stati violati. Il Consiglio della Stampa ricorda che tale obbligo di motivazione non comporta di per sé la non entrata in materia sul reclamo, ma ha la funzione essenziale di chiarire quale sia lo scopo del reclamo stesso sia per il Consiglio della Stampa sia per il redattore dell’articolo incriminato.
2. Per quanto riguarda la problematica sollevata dalla redazione di «Spendere Meglio» circa l’onere della prova si precisa che il Consiglio della Stampa prende le sue decisioni sulla base della documentazione prodotta e delle allegazioni inviate dalle parti. Di principio anche nella procedura davanti al Consiglio della Stampa è applicabile il principio del libero apprezzamento delle prove. Tuttavia il Consiglio della Stampa si impone una certa riservatezza nell’apprezzamento di fattispecie contestate. Non spetta a questo Consiglio la ricerca della verità, ma di tracciare le linee di condotta deontologiche.
3. Per quanto riguarda la collaborazione da parte dei cittadini e le sue modalità nell’ambito di un’inchiesta da parte di un media, domande su cui il signor X. chiede di prendere posizione, il Consiglio dell
a Stampa fa notare che non esiste alcun obbligo di collaborazione in una ricerca giornalistica. La libertà di informazione resta però intatta anche nel caso di rifiuto alla collaborazione.
4. a) Prendendo in considerazione l’articolo apparso su «Spendere Meglio» il ricorrente contesta prima di tutto il fatto che il giornalista abbia avuto come obiettivo la ricerca della verità. Nell’articolo vengono infatti pubblicati anche i suoi prezzi «esagerati». Richiamando la cifra 3 della «Dichiarazione» il reclamante ritiene che la pubblicazione dei prezzi esagerati, dati per telefono da lui senza specificare che lui non li aveva confermati, ma anzi contestati, sia un’omissione di informazioni importanti. Finalmente il reclamante rileva che non vi è stata alcuna rettifica delle informazione inesatte (cifra 5 della «Dichiarazione»).
b) La ricerca della verità non equivale a manipolare o sottacere informazioni nell’intento di suffragare una tesi. Se «Spendere Meglio» ha pubblicato i prezzi del Salone Y., avrebbe dovuto parallelamente informare che secondo il titolare del salone tali prezzi erano prezzi di fantasia. La rivista, malgrado abbia espressamente informato i consumatori che «i parrucchieri hanno potuto formulare le loro osservazioni» (pag. 10 dell’articolo incriminato), ha pubblicato i prezzi citati telefonicamente senza specificare che venivano contestati, le osservazioni del reclamante non sono state rese pubbliche, contrariamente a quelle del salone Z. Pertanto si può affermare che non in tutti i casi, il principio è stato seguito rigorosamente. In questo caso «Spendere Meglio» ha quindi violato le cifra 1 e 3 della «Dichiarazione dei doveri» omettendo elementi d’informazione, che ai lettori erano necessari per farsi una propria opinione circa i dati pubblicati.
c) Nella sua risposta a questo Consiglio il capo redattore di «Spendere Meglio» rileva che X. non ha mai inviato prezzi diversi da quelli rilevati telefonicamente e gli propone nuovamente di inviarglieli, considerato che recarsi presso il suo salone per constatarli di persona sarebbe eccessivo, in tal caso li pubblicherebbe sulla rivista. Il sospetto che l’articolo di «Spendere Meglio» meritasse, se non una rettifica, almeno un compendio di informazione lo evoca così scrivendo lo stesso capo redattore. Non può però essere considerata una rettifica ai sensi della cifra 5 della «Dichiarazione» una futura eventuale pubblicazione dei prezzi effettivamente applicati al salone Y. «Spendere Meglio» ha quindi violato la cifra 5 della «Dichiarazione» (Dovere di rettifica).
4.a) La cifra 4 della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» del 21 dicembre 1999 prevede che il giornalista non usi metodi sleali per procurarsi informazioni. Le Direttive del Consiglio della Stampa del 18 febbraio 2000 comprendono sotto questo titolo le inchieste mascherate, precisando che «ricerche discrete sono ammesse (…) quando la pubblicazione o la diffusione dei dati raccolti rivesta un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenerli» (Direttiva 4.2).
b) Nel caso di inchieste che mirano alla protezione del consumatore non vi è alcun dubbio che esista un interesse pubblico alla pubblicazione di questo tipo di informazioni. Il giornalista può venir dunque meno al suo dovere di lealtà nel caso in cui l’accesso all’informazione gli venga altrimenti negato, mentre appare invece poco giustificato in situazioni in cui l’informazione potrebbe essere attinta senza problemi a fonti ufficiali, come nel caso in cui i dati possono essere richieste direttamente agli interessati o fornite dall’associazione di categoria.
c) Si ricorda a questo proposito la presa di posizione n. 14/2001 («inchieste mascherate»). Il Consiglio della Stampa aveva rilevato, tra l’altro, che spacciare qualsiasi tipo di articolo per un’audace inchiesta mascherata è contrario ai principi di lealtà e correttezza. Il lettore può infatti essere facilmente tratto in inganno dall’alone di «rivelazione» che si nasconde nelle parole «inchiesta mascherata».
d) Dal testo delle linee direttive 4.2 della «dichiarazione» si potrebbe concludere che l’articolo non ha dimostrato la necessità di adottare il metodo dell’inchiesta mascherata per ottenere le informazioni necessarie, facilmente rintracciabili tramite colloqui telefonici, richieste scritte o sopralluoghi. Secondo il Consiglio della Stampa tuttavia tale norma non è qui applicabile. Modificando la presa di posizione 14/2001 il Consiglio della Stampa ritiene ora non più giustificabile sottoporre la raccolta di semplici informazioni sui prezzi alle regole delle ricerche discrete. Secondo la direttiva 4.1 relativa alla «Dichiarazione» è considerato sleale celare la propria qualità di giornalista al fine di procurarsi informazioni, fotografie, documenti sonori, visivi o scritti, in vista della pubblicazione. Questa norma etica ha per scopo di creare trasparenza con gli intervistati, nel senso che essi devono essere coscienti che le loro dichiarazioni (personali) fatte durante un colloquio con il giornalista potrebbero venire pubblicate. Il divieto di celare la propria professione di giornalista e il principio delle ricerche discrete, con riserva di eccezioni, servono quindi a proteggere la fiducia. Chi esprime le proprie considerazioni in luogo privato deve potere supporre che queste non verranno usate in ambito giornalistico, ad eccezione di espliciti accordi diversi o per altre situazioni particolari.
Nel caso di una semplice assunzione di informazioni pubbliche il principio della protezione della fiducia non comporta invece necessariamente l’obbligo per un giornalista di dichiararsi tale. Questo è il caso nella presente fattispecie, l’informazione relativa ai prezzi dei saloni sono soggetti all’obbligo di pubblicazione cantonale e pertanto sarebbero stati in ogni caso assumibili. Non si può pertanto concludere che l’atteggiamento del giornalista abbia la cifra 4 della «Dichiarazione dei doveri».
III. Conclusioni
1. Il ricorso è parzialmente accolto.
2. Con la pubblicazione dell’articolo «Al bazar dei parrucchieri» nell’edizione numero 4 dell’agosto 2006 «Spendere Meglio» ha violato le cifre 1 (dovere di verità), 3 (Omissione di elementi di informazione importanti) e 5 (Dovere di rettifica) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritte del giornalista».
3. Per il resto il reclamo è respinto.
4. «Spendere Meglio» non ha violato la cifra 4 (Non usa metodi sleali) della medesima