I. I fatti
A. Il 18 dicembre 2006 appare nella pagina di cronaca locale del Mendrisiotto del «Corriere del Ticino» un articolo («Morto sulla strada a Aigle»), siglato LuBer, che riferisce di un decesso in un incidente stradale avvenuto nel Canton Vaud. La vittima, di cui viene citato il nome già nel sottotitolo, è un agente della polizia municipale di Losanna che sarebbe nato e cresciuto nel Mendrisiotto, dove ancora ha «parenti e amici». Al momento del dramma l’uomo era fuori servizio e si trovava, qualità di passeggero, sull’auto guidata da un amico. L’articolo è corredato da una fotografia del veicolo dopo l’incidente.
B. Il 2 aprile 2007 i genitori della vittima si rivolgono al Consiglio della stampa. L’autore dell’articolo, avendo citato il nome e vari dati biografici senza essersi premurato di consultare prima la famiglia, avrebbe violato la cifra 7 della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista». Inoltre l’articolo userebbe espressioni irrispettose nei confronti del defunto e perseguirebbe intenti scandalistici violando la cifra 8 della «Dichiarazione». Infine sarebbe stato violato la cifra 1 della «Dichiarazione» in quanto l’articolo conterrebbe in parte informazioni false, incomplete o imprecise.
C. L’8 maggio 2007 il direttore del «Corriere del Ticino», Giancarlo Dillena, prende posizione in merito al richiamo chiedendo che lo stesso venga respinto. La pubblicazione dell’articolo è avvenuta ritenendo che i parenti più prossimi della vittima fossero già stati informati dalle forze dell’ordine. Nell’articolo non vi sarebbero affermazioni irrispettose nei confronti della vittima. I toni e i contenuti dell’articolo non sarebbero sensazionalistici e le eventuali informazioni incomplete o imprecise sarebbero di poca importanza rispetto alle finalità di cronaca perseguite.
D. Il 10 maggio 2007 il Consiglio della stampa ha dichiarato chiuso lo scambio epistolare e comunicato alle parti che il caso sarebbe stato discusso dalla prima camera, di cui fanno parte Peter Studer (presidente), Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Kathrin Lüthi, Philip Kübler, e Francesca Snider. Edy Salmina si è ricusato.
E. La prima camera ha discusso il caso nella sua seduta del 13 luglio 2007 e in seguito per via epistolare.
II. Considerandi
1. a) La «Dichiarazione» nella cifra 7 prevede che il giornalista «rispetta la vita privata delle persone», quando l’interesse pubblico non esiga il contrario. La vittima non era un personaggio pubblico, sicuramente non in Ticino, dove non risiedeva più da parecchi anni. Nemmeno nella Svizzera romanda, dove viveva ed era attivo come agente della polizia municipale di Losanna, non era considerato un personaggio pubblico, come testimoniano le cronache dell’incidente apparse sui giornali romandi, che non ne riportano il nome. La prassi del Consiglio della stampa in questo ambito è piuttosto chiara e restrittiva: il nome di un defunto può essere menzionato solo nel caso in cui la pubblicazione dello stesso sia di interesse pubblico. Nel dare la notizia della morte (volontaria o accidentale) di una persona il giornalista deve tenere conto sia della protezione della vittima che di quella delle persone a lei vicine ed infine della sensibilità del pubblico. E soprattutto, prima di ogni pubblicazione, ci si deve accertare che i parenti siano stati infomati (cfr. 53/2003).
b) Il giornalista del «Corriere del Ticino» ha dato notizia del decesso menzionando il nome della vittima. Lo ha fatto ritenendo che il lasso di tempo intercorso tra l’incidente (avvenuto il giorno 16) e la pubblicazione (avvenuta il giorno 18) fosse un periodo sufficientemente lungo affinché le autorità informassero i parenti più prossimi dell’avvenuta disgrazia. Tale informazione era effettivamente avvenuta. Ma il carattere privato della notizia implicava comunque un dovere di riserbo da parte del giornalista. La pubblicazione del nome della vittima e dei caratteri biografici che ne avrebbero comunque facilmente permesso l’identificazione avrebbe dovuto essere preceduta da una presa di contatto con i genitori, che avrebbero scelto, a loro discrezione, se acconsentire o meno la pubblicazione di tali informazioni. Per il Consiglio della stampa nemmeno la pubblicazione dell’annuncio funebre (che per altro in questo caso non era ancora avvenuta) costituisce una sorta di autorizzazione implicita a rendere pubblica una simile notizia (46/2005). Il Consiglio della Stampa ricorda che le norme deontologiche delle «direttive», tra cui le regole della citazione del nome, devono essere applicate in tutta la Confederazione da tutti i giornalisti attivi nei Media.
Pubblicando il nome della vittima senza aver chiesto l’autorizzazione alla famiglia il giornalista ha perciò violato la cifra 7 della «Dichiarazione»
2. a) Secondo la cifra 8 della «Dichiarazione», il giornalista ha il dovere di rispettare la dignità delle persone. Nei passaggi dell’articolo citati dai ricorrenti non vi è però nulla di irrispettoso nei confronti della vittima. L’espressione ‹momo› con cui viene definito il figlio è un’espressione ormai divenuta di uso corrente, un termine con cui viene semplicemente definito qualcuno che risiede o è originario del Mendrisiotto. Anche l’utilizzo del semplice cognome (X. non era in servizio, X. è stato poi preso in cura) non costituisce una mancanza di rispetto. Nel linguaggio giornalistico, sia scritto che parlato, è ormai in uso questa formula, che, se in altri ambiti può essere considerata irrispettosa, in questo caso non ha connotazioni particolari. Le espressioni utilizzate nell’articolo non possono quindi essere considerate una violazione della «Dichiarazione». b) Non è compito del Consiglio della stampa verificare la veridicità delle informazioni contenute nell’articolo. Non si entrerà quindi nel merito della questione se la vittima sia o meno nata e cresciuta nel Mendrisiotto o se quel giorno abbia veramente assistito ad un raduno automobilistico. Il fatto che il giornalista abbia scritto che la vittima ha ancora parenti e amici nella regione, senza precisare che vi risiedono i genitori, o che non abbia precisato che in Romandia ha anche conseguito una licenza universitaria costituisce sicuramente un’aggravante per la famiglia, che ritiene l’articolo una generale mancanza di rispetto nei propri confronti e in quelli del figlio. Tali imprecisioni non sarebbero verosimilmente apparse se il giornalista avesse parlato con la famiglia prima della pubblicazione. Il loro peso all’interno dell’intero articolo è però da relativizzare. Si tratta di imprecisioni che non hanno nulla a che fare con la notizia del decesso o con la dinamica dell’incidente, fatti che di per sé non sono stati contestati. Le informazioni contestate dai ricorrenti non appaiono di un’importanza tale da poter costituire una violazione della cifra 1 del codice deontologico (Ricerca della verità).
3. I ricorrenti fanno infine valere una violazione della cifra 8 della «Dichiarazione», che prevede da parte del giornalista il rispetto della dignità delle persone poiché il resoconto, corredato tra l’altro da una grande fotografia dell’automobile accidentata, avrebbe carattere sensazionalistico. Né lo stile usato, né i contenuti dell’articolo evocano però nel lettore un’immagine scandalistica dell’accaduto. Si tratta piuttosto di una cronaca abbastanza asciutta, in cui non viene espresso alcun giudizio né sulle persone coinvolte né sull’accaduto. Gli articoli apparsi sui giornali romandi citati dai ricorrenti come esempio di sobrietà e correttezza, non fanno menzione del nome e occupano meno spazio. Suscitano quindi nella famiglia un’impressione molto più positiva. Si può comunque notare che, mentre il «Corriere del Ticino» non dà alcuna descrizione d
el veicolo, uno dei giornali portati ad esempio dai ricorrenti ne fa riferimento sia citando la marca sia definendolo bolide, dettagli destinati ad evocare nel lettore, insieme alla didascalia della foto («le choc fut terribile»), un contesto di alta velocità. L’utilizzo della fotografia del veicolo è per altro abbastanza usuale in questo genere di resoconto. Per la famiglia è un elemento shockante che va ad aggiungersi al trauma di vedere pubblicata una notizia che si riteneva privata. Nell’ambito di una cronaca non contestata di un incidente in cui perde la vita qualcuno è però un elemento abituale. Se si prescinde dalla grave violazione della privacy, l’articolo non costituisce una mancanza di rispetto nei confronti della vittima e men che meno della sua dignità. Non può quindi essere riconosciuta una violazione della cifra 8 della «Dichiarazione».
III. Conclusioni
1. Il ricorso è parzialmente accolto.
2. Con la pubblicazione dell’articolo «Morto sulla strada a Aigle» nell’edizione del 18 dicembre 2006 il «Corriere del Ticino» ha violato la cifra 7 (rispetto della sfera privata) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».
3. Per il resto il reclamo è respinto.
4. Il «Corriere del Ticino» non ha violato le cifre 1 (Rispetto della verità) e 8 (Dignità delle persone) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».