I. Fatti
A. L’8 febbraio 2004 il settimanale «il caffè» ha pubblicato la notizia del suicidio di Y., sopravvenuto a Littleton (Colorado/USA) una decina di giorni prima. Y., 34 anni, era il figlio di Z., imprenditore ticinese considerato tra i 150 uomini piu’ ricchi del mondo. Il giornale ha dedicato ampio spazio alla questione, con un articolo di prima pagina (corredato da foto del defunto) e un’intera pagina di cronaca.
B. Con lettera 10 febbraio 2004 X., giornalista ticinese, si è rivolto al Consiglio della Stampa. A suo dire, «il caffè» avrebbe violato i principi dentologici in materia di informazione nei casi di suicidio. Nel suo ricorso, Baroni fa riferimento alla Direttiva 7.9 della «Dichiarazione dei diritti e doveri del giornalista.»
C. Il 25 febbraio 2004 Lillo Alaimo, direttore responsabile de «il caffè», ha preso posizione sul reclamo di X. Per spiegare la scelta di dare notizia del suicidio, Lillo Alaimo fa anzitutto riferimento al testo degli articoli pubblicati dal suo giornale. In quest’ultimi si fa notare che la persona defunta era figlio di uno degli uomini d’affari ticinesi più ricchi e importanti e che il suicidio non deve essere considerato un tabù. Al tempo stesso, il direttore Alaimo osserva che la notizia era già stata pubblicata dal giornale «The Denver Post», nella rubrica «Obituary». Nella sue argomentazioni, il direttore de «il caffè» osserva che esisteva anche la necessità di correggere la notizia riferita ad una presunta morte naturale pubblicata precedentemente dai media ticinesi. Lillo Alaimo aggiunge altresì che «il caffè» avrebbe scoperto «un certo mistero» attorno al decesso e avrebbe avuto in corso la verifica di «voci a proposito di certi problemi finanziari della società americana di Y., che sarebbero all’origine di difficoltà nei rapporti tra il defunto e suo padre».
D. Il 2 marzo 2004 il Consiglio della Stampa ha informato le parti che il caso sarebbe stato trattato dalla Ia Camera, composta da Peter Studer, presidente, Luisa Ghiringhelli Mazza, Pia Horlacher, Kathrin Lüthi, Philip Kübler e Edy Salmina.
E. La Ia Camera del Consiglio svizzero della Stampa ha adottato questa presa di posizione nelle sue sedute del 18 giugno e del 15 ottobre 2004.
II. Considerandi
1. L’edizione 8 febbraio 2004 de «il caffè» ha dato un rilievo del tutto preminente alla notizia del suicidio, indicando la vicenda come «la storia» della settimana. Accanto alle generalità di Y., il settimanale ha pubblicato quelle di sua moglie, dei due loro figli e due grandi fotografie della persona deceduta. Circa le ragioni del gesto di Y., il dossier de «il caffè» afferma che «secondo alcuni, pare attraversasse un periodo di depressione a seguito di una cura dimagrante». Il settimanale ha pubblicato altresì ora e luogo dei funerali, svoltisi negli USA, oltre a luogo e modalità del suicidio.
2. Relativamente all’attività economica della persona decessa «il caffè» ha indicato che a Littelton (luogo del suicidio) aveva sede il V. grande impresa di tour operators presieduta la Y. Nessun riferimento è stato fatto né a eventuali difficoltà economiche di tale società e/o personali di Y., né a legami economici tra il V. e le attività imprenditoriali del padre o dello zio della persona in questione.
3. Il resto del dossier de «il caffè» è dedicato non alla figura di Y. ma a quella di suo padre e suo zio Trattasi di due imprenditori molto conosciuti in Ticino: U., ad esempio, è il principale finanziatore dell’W. In un articolo a titolo «La Dinastia» il settimana propone una sorta di saga della famiglia, ritornando anche su episodi a volte lontani nel tempo. In un ulteriore pezzo si ricorda un mai chiarito episodio di sequestro di persona di U., nel 1995, rimase vittima. «il caffè» illustra inoltre le attività del gruppo G., appartenente alla famiglia U. Nessun legame viene evidenziato tra le attività del padre o dello zio e quelle della persona suicidatasi.
4. Vanno anzitutto ricordato che le disposizione deontologiche (Direttiva 7.9 relativa alla «Dichiarazione dei diritti e doveri del giornalista») esortano i media a far prova del massimo ritegno nei casi di suicidio. La Direttiva in questione prevede infatti che i casi di suicidio possono fare oggetto di informazione solo a titolo eccezionale e nelle eventualità seguenti:
* quando il gesto ha avuto una grande risonanza pubblica;
* quando il suicida è una personalità pubblica e si può quindi supporre che il gesto abbia un rapporto con tale sua funzione;
* quando è in relazione con un reato reso noto dalla polizia o quando il gesto aveva carattere dimostrativo e intendeva richiamare l’attenzione pubblica su un problema irrisolto;
* quando il gesto diviene spunto di un pubblico dibattito o quando serve a smentire dicerie o accuse incontrollate.
Anche questo Consiglio ha, d’altronde, ripetutamente ricordato e sottolineato la necessità di ritegno e attenzione in queste casi, particolarmente nella diffusione della notizia stessa di un suicidio (vedi, da ultimo, la presa di posizione 4/2004).
5. Nessuna delle eccezioni previste dalla Direttiva sopramenzionata trova applicazione in questo caso.
Y. viveva negli Stati Uniti e la sua attività economica non aveva alcune legame stabilito con il Cantone Ticino. In Ticino, egli non era affatto una personalità pubblica, né il suo gesto ha dato lugo e discussione, accuse o voci. Abbondanzialmente, nessun legame può essere stabilito tra il suicidio e l’eventuale notorietà della persona che si è tolta la vita.
La fama, in Ticino, del padre e dello zio di Y. non fanno di quest’ultimo una personaltià pubblica ticinese. A maggior ragione considerando che l’interessato viveva, era attivo e aveva la sua famiglia negli USA, senza mai aver fatto parlare di se in Ticino.
Neppure la precedente pubblicazione, anche sullo stesso «il caffè», della notizie della morte per «cause naturali» di Y., giustifica la successiva divulgazione del suicidio. Semmai, andava verificata meglio la prima informazione, senza però che la necessità di correggere un errore (evitabile) ne giustifichi, successivamente, uno ancora maggiore. Non si può, in questo caso, neppure fare riferimento alla necessità di smentire dicerie o accuse incontrollate di cui parla la Direttiva 7.9.
6. Neppure il fatto che il «The Denver Post» avesse informato i suoi lettori prima «il caffè» giustifica la scelta operata da quest’ultimo organo di stampa. Questo Consiglio non deve né può pronunciarsi su quanto apparso sul giornale del Colorado. Tuttavia, è giusto osservare che, semmai, è proprio e solo in Colorado che Y. avrebbe potuto essere considerato personalità pubblica, perlomeno in ragione dell’ampiezza delle attivitä economiche ivi svolte. E’ eventualmente in Colorado, quindi, che la notizia del suicidio avrebbe potuto essere resa pubblica.
7. Tenuto conto di ognuna e dell’insieme di queste circostanze «il caffè» non avrebe dovuto pubblicare la notizia del suicidio di Y., facendo prevalere il diritto del defunto e della sua famiglia al rispetto del carattere intimo del loro lutto. Si tratta, purtroppo, di un caso dove la violazione della privacy è grave, per le modalità giornalistiche adottate e il numero di persone coinvolte. Bisogna tuttavia aggiungere che «il caffè» potrebbe aver ritenuto, anche se a torto, che la notorietà, in Ticino, della famiglia U., autorizzasse, a priori, la divulgazione della notizia.
III. Conclusioni
1. Il ricorso è accolto.
2. «Il caffè» non ha rispettato le condizioni restrittive che premettono di divulgare la notiza di un suicidio. Il concetto di personalià pubblica deve essere interpretato restrittivamente e in riferimento al luogo di attività. La notorietà di una famiglia non rende automativcamente noti tutti i suoi mem
bri.