Nr. 26/2021
Ricerca della verità / Indipendenza / Omissione di informazioni importanti / Rettifica

(Clinica Hildebrand c. «tio.ch» e «20 minuti»)

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Zusammenfassung

Die Clinica Hildebrand in Brissago hat im November 2020 Beschwerde beim Presserat gegen «tio.ch» eingereicht. Das Online-Magazin hatte über einen Patienten berichtet, der nach seiner Operation gesund in die Rehabilitationsklinik eingetreten sei und sich dort über seinen Zimmernachbarn mit Covid-19 infiziert hätte. Beide seien beim Eintritt in die Klinik nicht getestet worden, dies im Gegensatz zur Praxis in anderen Tessiner Spitälern. Die Klinik machte geltend, es lasse sich unmöglich eruieren, wo sich der Patient angesteckt habe. Der Journalist verfüge auch nicht über die nötige Unabhängigkeit, da er über seinen Vater geschrieben habe, ohne dies offen zu legen.

Die Redaktion von «tio.ch» hielt zu ihrer Verteidigung fest, die Suche nach der Wahrheit könne auch aus einer direkten Quelle, bei einem privaten Gespräch, erfolgen, dem Journalisten sei nichts vorzuwerfen.

Der Presserat sieht die berufsethischen Regeln gleich mehrfach verletzt: Obwohl sich nicht eruieren liess, wo sich der Patient angesteckt hat, stellte der Artikel die Ansteckung durch seinen Zimmernachbarn als Tatsache hin. Damit verstiess «tio.ch» gegen die Wahrheitspflicht. Der Presserat hält fest, dass es grundsätzlich unproblematisch ist, wenn Journalisten über ein Thema berichten, in welches sie persönlich involviert sind. Da aber deren Unabhängigkeit und Unparteilichkeit auf dem Spiel steht, muss die Leserschaft transparent darüber informiert werden. Das hat «tio.ch» unterlassen.

Résumé

La Clinica Hildebrand de Brissago a adressé en novembre 2020 une plainte au Conseil de la presse contre «tio.ch». Le magazine en ligne avait mentionné un patient entré en bonne santé dans la clinique de réadaptation après son opération et qui y aurait attrapé le Covid-19, infecté par son voisin de chambre. Tous deux n’avaient pas été testés avant leur admission, contrairement à la pratique des autres hôpitaux tessinois. La clinique a fait valoir qu’il était impossible de dire où le patient avait été infecté. Le journaliste ne jouit par ailleurs pas de l’indépendance nécessaire, puisque le patient en question est son père, mais qu’il ne l’indique pas.

La rédaction de «tio.ch» constate pour sa défense que la recherche de la vérité peut se faire par une source directe, lors d’une discussion privée, et qu’on ne peut pas faire ce reproche au journaliste.

Le Conseil de la presse estime que les règles éthiques de la profession sont toutefois violées sur plusieurs points: bien qu’il ne soit pas possible de savoir où le patient a été infecté, l’article indique comme un fait que l’infection est due au voisin de chambre. «tio.ch» porte ainsi atteinte à son devoir de vérité. Le Conseil de la presse constate qu’il n’est en principe pas problématique que des journalistes rendent compte de thématiques dans lesquels ils sont impliqués personnellement, mais qu’ils doivent en informer leurs lecteurs en toute transparence car il en va d’indépendance et d’impartialité. «tio.ch» a omis de le faire.

Riassunto

Nel novembre 2020 la clinica Hildebrand di Brissago ha inoltrato un reclamo al Consiglio della stampa contro «tio.ch». Il magazine online aveva riferito di un paziente che aveva riacquistato la sua salute dopo l’operazione ed era entrato nella clinica riabilitativa. Qui avrebbe poi contratto il Covid 19 dal suo compagno di stanza. Entrambi all’ingresso in clinica non sarebbero stati sottoposti a test in contrapposizione alla prassi tenuta in altri ospedali ticinesi. La clinica ha fatto valere la sua posizione per cui non sarebbe possibile risalire al luogo del contagio. Il giornalista inoltre non disponeva della necessaria indipendenza visto che la persona in questione è il padre, fatto sottaciuto.

La redazione di «tio.ch» si è difesa dicendo che la ricerca della verità può derivare anche da una fonte diretta, un colloquio privato, e dunque al giornalista non si possono muovere critiche.

Per il Consiglio della stampa sono state violate contemporaneamente diverse norme etiche professionali: sebbene non sia possibile determinare dove il paziente si sia contagiato, l’articolo presenta invece come un fatto che a contagiarlo è stato il compagno di stanza. In questo modo «tio.ch» è contravvenuto all’obbligo di verità. Per il Consiglio della stampa di principio non rappresenta un problema il fatto che i giornalisti riferiscano di un tema che li vede personalmente coinvolti. D’altro canto però visto che è in gioco la loro indipendenza e obiettività, i lettori devono essere informati in modo trasparente. A questo «tio.ch» è venuto meno.

I. I fatti

A. Il 10 novembre 2020 il quotidiano online «tio.ch» pubblica un articolo, a firma Orlando Guidetti, dal titolo «Entra in clinica sano e si ammala di coronavirus» e catenaccio (sottotitolo) «Era sano prima dell’operazione al ginocchio. Ma finisce in una stanza insieme a un malato Covid. Inevitabile il contagio». Qualche ora dopo la pubblicazione, la seconda parte del catenaccio viene modificata in «(…) Ma viene contagiato dal compagno di stanza durante la riabilitazione». Il contributo viene ripreso il giorno seguente nella versione cartacea di «20 minuti».

L’articolo racconta la vicenda di Giancarlo, un paziente di 79 anni, il quale, dopo aver subito un intervento al ginocchio alla Clinica Santa Chiara di Locarno, è stato trasferito alla Clinica Hildebrand di Brissago per la riabilitazione. Lì, stando al quotidiano, si sarebbe ammalato di Covid «a causa del modo di agire della struttura ospedaliera». L’articolo evidenzia come – contrariamente a quanto avvenuto alla Santa Chiara – all’ammissione alla Hildebrand il paziente non è stato sottoposto al test del tampone. Riporta quindi le dichiarazioni di un medico della clinica brissaghese, il quale conferma che i test tampone non vengono eseguiti, non essendovi alcun obbligo in tal senso. L’autore dell’articolo riferisce poi che Giancarlo è stato messo in camera assieme ad un altro paziente, «entrambi senza la certezza di non essere contagiati dal virus del Covid-19». Alcuni giorni dopo, il compagno di stanza di Giancarlo inizia ad avere la febbre e, all’esito di un test tampone, risulta positivo al Covid. Anche Giancarlo viene allora sottoposto al tampone e anche lui risulta positivo. Il quotidiano si interroga sui protocolli della Clinica Hildebrand: «Perché non si sono accertati della salute dei pazienti prima di ospitarli in camere doppie? Così facendo si mette a rischio la salute pubblica e la vita delle persone, di chi è la responsabilità?». Il giornalista dà quindi voce al primario della clinica, il quale conferma che, in assenza di sintomi evidenti, di regola non vengono eseguiti test tampone riferiti al contagio da Covid. L’articolo sottolinea infine come tale modo di agire sia completamente diverso rispetto alla prassi adottata alla Clinica Santa Chiara, all’Ospedale La Carità di Locarno e alla Clinica Varini di Orselina. A conferma di ciò, riporta le dichiarazioni dei responsabili delle citate strutture.

B. Il 27. novembre 2020 la direzione della Clinica Hildebrand presenta reclamo al Consiglio svizzero della stampa. A giudizio della reclamante l’articolo di «tio.ch» sarebbe stato «volutamente costruito per far credere al lettore l’esistenza di un caso di malasanità» e «realizzato in maniera fraudolenta e deontologicamente scorretta». Invero, sarebbe impossibile per chiunque stabilire dove sia avvenuto il contagio del paziente. L’autore dell’articolo – che il reclamo rivela essere in realtà il figlio del paziente Giancarlo – avrebbe indebitamente attinto da informazioni raccolte nell’ambito di colloqui di carattere terapeutico avuti con i medici della struttura, in veste appunto di familiare del paziente. Senza alcuna autorizzazione e in dispregio di una esplicita diffida da parte del primario della clinica, Orlando Guidetti avrebbe in seguito reso pubbliche le dichiarazioni dei medici. Lo stesso discorso varrebbe per le dichiarazioni del direttore della Clinica Varini riportate nell’articolo. A mente della reclamante censurabile sarebbe inoltre il fatto che la redazione di «tio.ch», spontaneamente e ad insaputa della clinica, ha modificato il sottotitolo dell’articolo dandogli un tenore «meno aggressivo». Sulla scorta di tali considerazioni, la reclamante invoca e fa valere la violazione dei seguenti precetti dedotti dalla «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista»: Cifra 1 (ricerca della verità): il giornalista avrebbe dato per fatti assodati ipotesi in realtà non confermate (in particolare, la circostanza che Giancarlo sia stato messo in una stanza con un soggetto già affetto da Covid); Cifra 2 (indipendenza): scrivendo di una vicenda che riguarda suo padre, il giornalista non sarebbe in grado di garantire la necessaria indipendenza; Cifra 3 (omissioni e informazioni non verificate): il giornalista avrebbe sottaciuto informazioni importanti e dato per assodate informazioni che andavano invece verificate; Cifra 4 (informazioni procurate con metodi sleali): il giornalista avrebbe approfittato di un colloquio terapeutico per procurarsi informazioni da destinare a pubblicazione, dissimulando le proprie intenzioni ai suoi interlocutori; Cifra 5 (obbligo di rettifica): la redazione del quotidiano non avrebbe operato alcuna rettifica; Cifra 6 (tutela del segreto professionale e delle fonti): il giornalista avrebbe utilizzato informazioni confidenziali di cui è venuto a conoscenza in quanto figlio del paziente; Cifra 7: il giornalista avrebbe «descritto con assoluta certezza fatti che nemmeno i migliori virologi ed epidemiologi al mondo potrebbero confermare al di là di ogni ragionevole dubbio».

La reclamante osserva infine come gli scambi di corrispondenza avuti con la testata non hanno sortito l’esito conciliativo sperato.

C. Il 18 gennaio 2021 la direzione di «tio.ch» prende posizione sul reclamo per voce del caporedattore. Premette che la redazione ha deciso di raccontare la vicenda non in forma personale, bensì in terza persona (omettendo dunque di rivelare che il protagonista della vicenda è il padre dell’autore dell’articolo), per tutelare la privacy del diretto interessato, altrimenti facilmente identificabile. A detta della direzione della testata, l’autore dell’articolo (definito «giornalista esterno alla redazione di TicinOnline») avrebbe confermato che quanto pubblicato corrisponde alla realtà dei fatti ed è suffragato da prove dirette, ovvero i colloqui avuti con i medici. Orlando Guidetti avrebbe palesato ai medici di essere un giornalista e di essere intenzionato a scrivere un articolo sulla vicenda facendo uso delle loro dichiarazioni. L’autore dell’articolo non avrebbe mai riferito alla direzione del quotidiano di essere stato diffidato dal personale medico dal pubblicare le informazioni di cui era venuto a conoscenza. La risposta di «tio.ch» riporta poi testualmente le parole di Orlando Guidetti, il quale conferma che anche il direttore della Clinica Varini era ben cosciente di parlare con un giornalista, del tema dell’articolo e del contesto in cui si inseriva, come pure del fatto che le sue parole sarebbero state riprese nel contributo. Per il giornalista, tutti gli intervistati sono stati informati che le loro dichiarazioni sarebbero state da lui utilizzate per scrivere un articolo. La direzione del quotidiano prosegue contestando che l’articolo sia stato costruito in maniera fraudolenta. Il giornalista avrebbe attinto le sue informazioni da fonti dirette, ovvero i «colloqui trasparenti» avuti con i medici. Non avrebbe quindi estorto alcuna informazione e nessuno degli intervistati lo avrebbe diffidato dall’utilizzare le informazioni raccolte o dal menzionare il proprio nome. Non vi sarebbe stato alcun intento di screditare la clinica, né da parte del giornalista, né da parte della direzione del quotidiano. Lo dimostrerebbe anche il fatto che, dopo la degenza presso il centro Covid di Locarno, il padre del giornalista è ritornato alla Clinica Hildebrand per sottoporsi alla fisioterapia postoperatoria. Il sottotitolo dell’articolo sarebbe stato modificato spontaneamente, in quanto poco chiaro, e non a seguito delle rimostranze da parte della clinica, giunte via mail solo due ore dopo. Contrariamente a quanto ipotizzato nel reclamo, l’autore dell’articolo avrebbe garantito al caporedattore di non aver mai registrato le conversazioni telefoniche avute con i medici. La direzione di «tio.ch» conclude la sua presa di posizione rilevando che la ricerca della verità può avvenire anche attingendo da fonte diretta, nell’ambito di un colloquio privato.

D. Terminato lo scambio degli allegati, la Presidenza del Consiglio della stampa ha trasmesso il reclamo alla 1. Camera, così composta: Susan Boos, presidente, Luca Allidi, Dennis Bühler, Ursin Cadisch, Michael Herzka, Francesca Luvini e Casper Selg.

E. La 1. Camera del Consiglio della stampa ha discusso e deliberato sul caso nella sua seduta del 6. aprile 2021 e, in seguito, per corrispondenza.

II. Considerazioni

1. Ricerca della verità: La reclamante rimprovera anzitutto a «tio.ch» di aver disatteso il dovere di ricerca della verità («Dichiarazione», Cifra 1), dando per fatti assodati ipotesi in realtà non verificate, né confermate; in particolare con riferimento alla notizia pubblicata secondo cui il paziente Giancarlo si sarebbe ammalato alla Clinica Hildebrand, essendo stato messo in camera assieme ad una persona affetta da Covid che lo avrebbe contagiato.

Il primo dovere del giornalista è quello di ricercare la verità e di rispettare il diritto del pubblico di venirne a conoscenza («Dichiarazione», Cifra 1). La ricerca della verità è alla base dell’informazione (Direttiva 1.1).

Il tema dell’articolo riveste indubbiamente carattere di interesse pubblico. Va perciò premesso che le domande sollevate e gli appunti critici mossi dal giornalista riguardo ai protocolli in vigore presso la Clinica Hildebrand in materia di prevenzione Covid (la prassi secondo cui, in assenza di sintomi specifici, non vengono eseguiti test tampone, né all’ammissione, né ove più pazienti condividano la stessa stanza) sono senz’altro legittimi.

Detto questo, titolo e catenaccio (sottotitolo) dell’articolo («Entra in clinica sano e si ammala di coronavirus. Era sano prima dell’operazione al ginocchio. Ma finisce in una stanza insieme a un malato Covid. Inevitabile il contagio», quest’ultima parte poi modificata in: «(…) Ma viene contagiato dal compagno di stanza durante la riabilitazione») inducono tuttavia il lettore a concludere a) che il paziente Giancarlo si è ammalato di Covid durante la sua degenza alla Clinica Hildebrand e b) che è stato contagiato dal suo compagno di stanza, il quale era già affetto dal virus. Tali circostanze, per quanto probabili, non sono affatto certe. Visto che, stando all’articolo, Giancarlo è stato sottoposto al test del tampone (con esito negativo) solo contestualmente al suo ricovero alla Clinica Santa Chiara, non si può affatto escludere che abbia contratto il Covid immediatamente dopo (durante la degenza alla Santa Chiara) e comunque prima di entrare alla Hildebrand. Nemmeno si può escludere che sia stato Giancarlo a contagiare il suo compagno di stanza alla Hildebrand, anziché viceversa. In realtà, nessuno può dire con certezza quando, dove e come Giancarlo si sia ammalato. Del resto, neppure l’articolo fornisce elementi concreti a suffragio delle tesi che, in modo apodittico, espone nel titolo.

Ai fini del giudizio, determinante è l’impressione generale che il contributo giornalistico suscita nel lettore. In quest’ottica, va da sé, rivestono particolare importanza titoli e sottotitoli, che hanno appunto lo scopo e la funzione di rendere immediati al lettore i contenuti essenziali della notizia. Di conseguenza – nel rispetto del proprio dovere di ricercare la verità e del diritto del pubblico di venirne a conoscenza – proprio in questo ambito (titolazione), il giornalista deve dare prova di particolare scrupolo e attenzione. Nella sua prassi costante, il Consiglio della stampa distingue tra imprecisione giornalistica e violazione vera a propria del dovere di verità. Nei titoli sono ammesse generalizzazioni, semplificazioni e persino esagerazioni (titoli ad effetto), purché queste siano però relativizzate immediatamente, vale a dire già nel catenaccio (sottotitolo) o nel «lead» (attacco dell’articolo) (cfr. le prese di posizione 13/2021, 46/2019, 54/2018, 4/2011 e 58/2007). In nessun caso sono invece ammessi titoli contrari al vero e peraltro – come nel caso in esame – neppure relativizzati in alcun modo nel contesto dell’articolo.

Ne viene che, rappresentando nel titolo come fatti assodati ipotesi in realtà non verificate, né confermate e, così facendo, inducendo i lettori a trarre conclusioni affrettate ed errate (almeno fino a prova del contrario), l’articolo in esame disattende il dovere di ricerca della verità (cfr. «Dichiarazione», Cifra 1 e Direttiva 1.1). Ciò, a maggior ragione, considerato che le relative circostanze (il quando, il dove e il come del contagio del paziente) costituiscono il tema centrale del contributo giornalistico, oltre che fatti di una certa gravità.

È dovere del giornalista rettificare ogni informazione diffusa che si sia rivelata materialmente del tutto o in parte inesatta («Dichiarazione», Cifra 5). Nonostante le rimostranze subito manifestate dalla direzione della clinica con scritto mail 11 novembre 2020 (anche proprio riguardo al fatto che nel suo articolo il giornalista – senza averne e senza fornirne prova alcuna – dava per acquisito che il paziente Giancarlo avesse contratto il virus alla Hildebrand), «tio.ch» non ha operato alcuna rettifica. Su questo punto, la redazione è dunque venuta meno al proprio dovere di rettifica.

2. Indipendenza – Ricerca della verità – omissione di informazioni importanti: A mente della reclamante, scrivendo di una vicenda che riguarda suo padre, l’autore dell’articolo non sarebbe stato in grado di garantire la necessaria indipendenza («Dichiarazione», Cifra 2). Nella sua presa di posizione sul reclamo, la direzione di «tio.ch» ha da parte sua tenuto a precisare che la scelta di non rivelare che il paziente protagonista della vicenda era il padre dell’autore dell’articolo è stata motivata dall’intento di tutelare la privacy del diretto interessato, altrimenti facilmente identificabile.

È dovere di ogni giornalista difendere l’indipendenza e la dignità della sua professione («Dichiarazione», Cifra 2). In termini generali, i conflitti di interesse nuocciono alla reputazione degli organi di informazione e alla dignità della professione. Tale principio si estende per analogia anche a temi e questioni di carattere privato che, direttamente o indirettamente, interferiscono con l’esercizio della professione giornalistica (cfr. Direttiva 2.4).

Ora, indipendentemente dal grado di competenza ed esperienza professionale del giornalista, è senz’altro vero che scrivere di una vicenda personale e familiare – e per di più legata ad un tema (la salute) che inevitabilmente coinvolge la sfera emotiva – è circostanza suscettibile di compromettere in misura più o meno importante la capacità di giudizio obbiettivo e, di conseguenza, l’imparzialità e l’indipendenza. Come nell’ambito giuridico, anche nel contesto giornalistico il giudizio di parzialità (prevenzione) non deve necessariamente fondarsi su elementi oggettivi. In altre parole, non occorre dimostrare che il soggetto interessato sia effettivamente prevenuto. Per mettere in forse l’indipendenza del giornalista è sufficiente che, agli occhi del lettore, vi sia anche solo un’apparenza di parzialità. Ciò che è senz’altro il caso, laddove, come nella fattispecie, il giornalista scriva di una grave malattia che ha colpito suo padre.

In termini generali, il fatto che un giornalista consegni ad un articolo una vicenda personale non è di per sé criticabile. Ovviamente, come per tutti i contributi giornalistici, la vicenda deve avere carattere e dignità di notizia ed essere supportata da un minimo interesse pubblico. Trattandosi, come detto, di un esercizio che mette a rischio la sua imparzialità è però doveroso che il giornalista che scrive di un fatto personale ne informi in modo trasparente il lettore.

La preoccupazione della direzione di «tio.ch» di non rendere identificabile al pubblico il paziente protagonista della vicenda è più che legittima. La sfera privata del paziente doveva e poteva tuttavia essere tutelata in altro modo (ad esempio, firmando l’articolo «redazione» e precisando che l’autore dello stesso è un giornalista indipendente, noto alla redazione, figlio del paziente in questione). Non invece sottacendo al lettore una circostanza tutt’altro che trascurabile nell’ottica di soddisfare le sue legittime aspettative in termini di verità del contributo giornalistico e di indipendenza del suo autore.

Sottacendo che l’autore dell’articolo è il figlio dello sfortunato paziente protagonista della vicenda, la redazione ha disatteso il suo dovere di non omettere informazioni o elementi di informazione importanti («Dichiarazione», Cifra 3; «Dichiarazione», Cifra 2 e Direttiva 2.4).

Date le circostanze – trattandosi di una tematica tanto sensibile, delicata ed emotivamente coinvolgente per l’autore dell’articolo – viene da ultimo spontaneo chiedersi, per quale ragione la redazione di «tio.ch» non abbia ritenuto di affidare ad altri il compito di redigere l’articolo.

3. Informazioni procurate con metodi sleali – identità celata – colloqui informativi: La reclamante rimprovera al giornalista di aver agito in modo sleale ai sensi della Cifra 4 della «Dichiarazione», avendo attinto indebitamente da informazioni raccolte nell’ambito di colloqui di carattere terapeutico avuti con il personale medico in veste di familiare del paziente. Il giornalista avrebbe reso pubbliche le relative informazioni e dichiarazioni senza alcuna autorizzazione e in dispregio di una esplicita diffida da parte del primario della Clinica Hildebrand. Nella sua presa di posizione sul reclamo, la direzione di «tio.ch» ha contestato tali addebiti, adducendo che Orlando Guidetti avrebbe agito in modo trasparente, palesando ai suoi interlocutori le sue intenzioni. Egli avrebbe informato i medici di essere un giornalista e di essere intenzionato a scrivere un articolo sulla vicenda, facendo uso delle loro dichiarazioni. Nessuno degli intervistati lo avrebbe diffidato dall’utilizzare le informazioni raccolte o dal menzionare il proprio nome.

È dovere del giornalista non usare metodi sleali per procurarsi informazioni («Dichiarazione», Cifra 4). È considerato sleale dissimulare la propria qualità di giornalista al fine di procurarsi informazioni (Direttiva 4.1). In deroga a tale principio, sono ammesse le cosiddette ricerche discrete, ove la pubblicazione delle informazioni raccolte rivesta un interesse pubblico preponderante e non vi sia altro modo per ottenerle (Direttiva 4.2). Nell’ambito di un colloquio informativo, il giornalista è tenuto ad informare il suo interlocutore su come intende utilizzare le informazioni che questi gli fornisce. Le cose dette durante il colloquio possono essere elaborate e abbreviate purché non se ne stravolga il senso. La persona intervistata deve sapere che può riservarsi di autorizzare il testo delle sue affermazioni che il giornalista prevede di pubblicare (Direttiva 4.6).

In merito al contenuto dei colloqui intercorsi tra Orlando Guidetti ed il personale medico ed alle informazioni che il giornalista ha effettivamente fornito ai suoi interlocutori, le versioni delle parti divergono irrimediabilmente (dichiarazione contro dichiarazione). Questo Consiglio deve dunque rinunciare a trarre conclusioni definitive al riguardo. Vero è che neppure nella presa di posizione della direzione di «tio.ch» sul reclamo si legge che il giornalista – come era suo dovere – ha anche informato gli intervistati del loro diritto di riservarsi di autorizzare il testo delle loro dichiarazioni destinate a pubblicazione.

III. Conclusioni

1. Nei punti essenziali, il reclamo è accolto.

2. Con l’articolo pubblicato il 10. novembre 2020 («Entra in clinica sano e si ammala di coronavirus. Era sano prima dell’operazione al ginocchio. Ma finisce in una stanza insieme a un malato Covid. Inevitabile il contagio», quest’ultima parte poi modificata in: «(…) Ma viene contagiato dal compagno di stanza durante la riabilitazione») – dando per fatti assodati ipotesi in realtà non verificate, né confermate, omettendo in seguito la necessaria rettifica, e sottacendo altresì informazioni importanti – «tio.ch» ha violato la Cifra 1 (ricerca della verità), la Cifra 2 (indipendenza), la Cifra 3 (notizie non confermate e omissione di informazioni importanti) e la Cifra 5 (obbligo di rettifica) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».

3. Non sono ravvisabili ulteriori violazioni.