I. I fatti
A. Il 2 aprile 2016 il «Corriere del Ticino» pubblicava sulla propria pagina web (www.cdt.ch) un articolo dal titolo «Gli sparano in diretta su Facebook», illustrato dalla foto di una mano che regge una pistola. Nel sottotitolo si legge: «Un 31.enne di Chicago stava registrando in streaming sul noto social, quando è rimasto coinvolto in uno scontro tra gang – È in condizioni critiche».
B. Il 4 aprile 2016 X. ha inoltrato un reclamo al Consiglio Svizzero della stampa, criticando il fatto che la pistola ritratta era un’arma del tipo SIG 210 in dotazione dell’Esercito svizzero. Al lettore poteva risultare un collegamento tra l’arma in questione – usata normalmente dai militi, come pure dai collezionisti e dalle società di tiro – e il delitto, incoraggiando di fatto i molti critici del nostro esercito a mettere in causa la detenzione legale dell’arma. Secondo il reclamante, il giornale ha violato le Cifre 1 e 5 della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista» (in seguito: «Dichiarazione») venendo meno al dovere di ricerca della verità: sarebbe infatti inverosimile che in quel delitto fosse stata usata l’arma in dotazione all’Esercito svizzero, come di fatto la foto suggeriva. Il giornale avrebbe pure mancato di rettificare l’errore.
C. Nella sua presa di posizione del 2 settembre 2016, il direttore del «Corriere del Ticino», Fabio Pontiggia, precisa anzitutto che l’articolo e la foto menzionati sono apparsi solo sul sito web e non nell’edizione cartacea del «Corriere del Ticino», e neppure nella versione elettronica del giornale (e-paper). La tesi del reclamante, che il lettore avrebbe potuto senz’altro associare il delitto con il tipo di arma usata normalmente dai militi, dai collezionisti e dagli sportivi del nostro Paese, non è sostenibile. A nessun lettore comune una simile associazione verrebbe in mente: ed è alla sensibilità del lettore ordinario che conviene riferirsi. Neppure un esperto si sbaglierebbe confondendo la Colt 211 usata nel delitto e l’arma d’ordinanza del nostro esercito. D’altra parte, non si tratterebbe neppure della SIG Sauer P210 bensì della SIG Sauer P220. Se tale è il giudizio di un esperto, è da escludere che un lettore comune possa identificare l’arma del delitto con quella in dotazione all’Esercito svizzero. Il direttore Pontiggia respinge inoltre l’insinuazione che il giornale si metterebbe con questa scelta dalla parte dei contestatori dell’Esercito. Il «Corriere» non ha mai fatto propria una linea anti-esercito: a dimostrazione vi sono numerosi editoriali pubblicati.
Non sussisterebbe dunque violazione della Cifra 1 della «Dichiarazione». Inoltre, la foto contestata è stata sostituita immediatamente dopo la segnalazione al giornale da parte del reclamante: neppure la Cifra 5 della «Dichiarazione» sarebbe perciò violata. La prima foto pubblicata aveva una funzione puramente simbolica («foto tematica») senza alcun rapporto con l’Esercito svizzero.
D. Il 5 dicembre 2016 il Consiglio della stampa ha comunicato alle parti che il reclamo sarebbe stato trattato dalla Presidenza del Consiglio, composta del presidente Dominique von Burg e dei vicepresidenti Francesca Snider e Max Trossmann.
E. La presente presa di posizione è stata decisa per corrispondenza entro l’11 settembre 2017 dalla Presidenza del Consiglio della stampa.
II. Considerandi
La Cifra 1 della «Dichiarazione» richiede ai giornalisti la ricerca della verità senza riguardo per le conseguenze che gliene possano derivare, come pure il rispetto del diritto del pubblico di venirne a conoscenza. Che il giornale abbia fatto ricorso, per illustrare il caso di Chicago, all’immagine di un arma simile a quella in dotazione all’Esercito svizzero, non è contestato. Diverso è il riferimento al modello: si tratti di SIG Sauer P210 oppure di Sig Sauer P220; le parti sono invece d’accordo che non si trattava dell’arma effettivamente usata nel delitto. Nella prima illustrazione, l’arma mostrata era certamente quella in dotazione all’Esercito svizzero, per quanto non recasse né la croce federale né alcun altro segno distintivo che come tale la qualificasse. Per il lettore comune (non per un esperto, chiaramente) l’immagine si riferiva all’arma usata nel delitto, non all’arma d’ordinanza del nostro esercito. Non è data quindi violazione del dovere di rispettare la verità. Neppure era necessario in tal caso segnalare, da parte del giornale, che si trattava di una foto simbolica. Le foto simboliche si usano per illustrare un tema in generale, quando non esiste rapporto diretto con il fatto riferito. Nel caso specifico il rapporto c’era, in quanto ci si riferiva a un delitto effettivamente avvenuto. Di quale tipo fosse l’arma illustrata non era il tema della notizia, documentarlo non era necessario.
Poiché non è dimostrata una mancanza al dovere di rispetto della verità, neppure entra in considerazione una violazione della Cifra 5 della «Dichiarazione», che richiede la rettifica delle asserzioni materialmente inesatte.
III. Conclusioni
1. Il reclamo è respinto.
2. Il «Corriere del Ticino», pubblicando la foto inserita nell’articolo «Gli sparano in diretta su Facebook», in cui è mostrata un’arma in dotazione all’Esercito svizzero, non ha violato né la Cifra 2 (Rispetto della verità) né la Cifra 5 (Rettifica) della «Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista».