I. I fatti
A. Il 25 settembre 2002 il «Corriere del Ticino» (in seguito: CdT) informava che tra i sospettati, nell’ambito di una grande indagine di polizia condotta in tutta la Svizzera in quello stesso stesso mese circa l’uso illegale di pornografia dura via Internet, si trovava anche il giornalista X.
B. Il 17 dicembre 2002, Matteo Cheda, a nome di «Giornalismo.ch», ha presentato al Consiglio della Stampa un reclamo in cui sostiene che il CdT non ha rispettato, con la pubblicazione del citato articolo, il diritto a essere ascoltato che dev’essere riconosciuto alle persone oggetto di gravi addebiti. La notizia fu smentita il giorno stesso dalla Procura pubblica e il giorno seguente il CdT rettificò l’informazione ma senza scusarsi con X..
C. Nelle osservazioni al reclamo presentate l’11 febbraio 2003, il direttore del CdT Giancarlo Dillena sostiene che la redazione si è basata su due fonti indipendenti, concordi nell’affermare che X. si trovava tra i sospettati. L’informazione sarebbe inoltre stata verificata presso una terza fonte a livello federale, che avrebbe a sua volta confermato il sospetto. La smentita dell’interessato è giunta il giorno dopo, seguita da quella della Procura pubblica. In tale circostanza, lo stesso X. ammetteva pubblicamente di essere oggetto di una sentenza di condanna, risalente a qualche mese prima e cresciuta in giudicato, per violazione dell’art. 197 del Codice penale svizzero (Pornografia). Il CdT vi ha visto una buona ragione per pubblicare la smentita di X., ma non per chiedere scusa. Il giornale ammette che è lecito interrogarsi se non sia stato un errore omettere di interpellare l’interessato prima di pubblicare la notizia. In ogni caso l’interessato aveva la possibilità, come professionista dell’informazione, di far valere entro breve termine il suo punto di vista.
D. Secondo l’art. 4 lett. 7 del Regolamento del Consiglio della Stampa, se il caso presenta analogie sostanziali con altri già trattati, oppure è di minore importanza, la Presidenza può elaborare autonomamente la presa di posizione a nome del Consiglio.
E. Il 13 febbraio 2003 è stato dichiarato chiuso lo scambio di allegati ed è stato comunicato alle parti che il caso veniva sottoposto alla Presidenza.
F. La Presidenza ha elaborato la seguente presa di posizione per via epistolare e l’ha approvata il 30 maggio 2003.
II. Considerandi
1. Pur non essendo stato evocato nel reclamo, il problema preliminare se la pubblicazione del nome fosse in quel caso giustificata si pone. Ma dal momento che il nome è stato pubblicato, il diritto all’ascolto da parte della persona oggetto di gravi addebiti (nuova Direttiva 3.8 alla Dichiarazione dei doveri dei giornalisti) viene ad assumere un’importanza tutta particolare.
2. Nella Presa di posizione 2/2003 in re X. c. «Wochenblatt» il Consiglio della Stampa era giunto alla conclusione che la menzione del nome di una persona inquisita per un reato penale (nel caso specifico si trattava di un docente accusato di pedofilia) non si giustifica se la persona in questione non riveste una funzione direttiva, e faceva l’esempio di un pubblico funzionario senza mansioni dirigenti, oppure quello di un qualunque lavoratore dipendente. Lo stesso principio deve valere per un giornalista, se il reato di cui è accusato non è in rapporto diretto con la sua attività pubblicistica. Il CdT non ha d’altra parte sostenuto che tale rapporto sussista, sia in rapporto con l’inchiesta in corso, sia in relazione con il giudizio definitivo.
3. Dal principio del rispetto dell’equità di trattamento che sta alla base della Dichiarazione, il Consiglio della Stampa ha per prassi costante dedotto il dovere per i giornalisti di ascoltare la persona oggetto di gravi addebiti, e ciò prima della pubblicazione. Questo dovere -perdippiù- è stato, con decisione del 28 febbraio 2003, anche inserito nelle Direttive, con un nuovo paragrafo (3.8.) che afferma: «Dal principio dell’equità e dall’imperativo etico dell’ascolto imparziale (Ðaudiatur et altera pars?) deriva il dovere per i giornalisti di ascoltare, prima della pubblicazione, le persone oggetto di addebiti gravi. La presa di posizione di queste persone dev’essere riprodotta nel corpo dello stesso articolo, in breve ma in modo corretto. A questo dovere di ascolto si può venir meno solo quando lo giustifichi un interesse pubblico preponderante. Alla parte criticata non deve necessariamente venire concesso lo stesso spazio della critica. Dev’essere in ogni caso rispettato il suo diritto a esprimersi».
4. L’addebito mosso a X. dando voce a quel sospetto era sicuramente grave, e tale da obbligare senz’altro il CdT a raccogliere il suo parere prima della pubblicazione. Il reclamante fa valere a ragione che una tempestiva audizione dell’interessato avrebbe permesso di evitare la confusione tra due procedure analoghe, e quindi l’errore nella notizia.
5. Pur avendo il CdT pubblicato il giorno dopo senza commenti la smentita dell’interessato e della Procura pubblica, la gravità dell’errore commesso esigeva da parte sua un gesto di scusa (Presa di posizione B. c. «Blick» del 29 settembre 1987, in: Vademekum 2. ed., 2002, p. 58). La precedente condanna per violazione dell’art. 197 CP non aveva un rapporto diretto con l’inchiesta del settembre 2002, e dunque non la si doveva neppure mettere in relazione con l’informazione che a quest’ultima si riferiva.
III. Conclusione
Il reclamo è accolto.