Nr. 3/1995
Omissione di elementi informativi importanti

(Servizio: 'I Serbi' della Televisione svizzera di lingua italiana), del 4 maggio 95

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Stellungnahme

Unterschlagung wichtiger Informationselemente

Medienbeiträge, die in einer laufenden Diskussion einen bestimmten Standpunkt aufzeigen und nicht in sich selber, sondern zusammen mit anderen Beiträgen Ausgewogenheit herstellen, müssen grundsätzlich zulässig sein.

Wenn Völkermord, „ethnische Säuberungen » oder andere Verbrechen gegen die Menschlichkeit im Spiel sind, lässt es sich indessen berufsethisch unter keinen Umständen rechtfertigen, den Standpunkt einer solcher Verbrechen angeklagten Konfliktpartei darzustellen, ohne auf diesen Tatbestand hinzuweisen. Dem Publikum fehlt sonst ein wesentliches Element, um die im Beitrag enthaltenen Informationen gewichten und einordnen zu können.

Prise de position

Suppression d’éléments d’information importants

Les émissions qui, dans une discussion en cours, expriment un point de vue déterminé et ne sont pas équilibrées en elle-mêmes sont en principe licites lorsque l’équilibre est assuré de concert avec d’autres. Quand il s’agit de génocide, „d’épuration ethnique » ou d’autres crimes contre l’humanité, rien ne saurait cependant justifier, du point de vue d’une éthique professionnelle, que l’on ne donne sur ces crimes que le point de vue d’une seule des parties en cause sans attirer l’attention sur ce fait. Sinon, il manque au public un élément essentiel lui permettant de jauger les informations contenues dans ladite émission et de les classer.

Presa di posizione

Omissione di elementi informativi importanti

Affermare un determinato punto di vista, in un servizio su un problema controverso, è in linea di principio lecito, quando l’equilibrio risulta da una pluralità di contributi sul tema. L’etica professionale, tuttavia, non giustifica la presentazione del punto di vista di una sola parte sola in conflitto se si omette di indicare che tale parte è accusata di reati come genocidio, „pulizia etnica » e altri crimini contro l’umanità. Al pubblico viene sottratto in tal modo un elemento essenziale del contesto entro cui pesare e valutare le informazioni contenute nel servizio.

I. Fatti

A. Nel febbraio 1993, il giornalista Wladimiro Tchertkoff presenta alla Televisione Svizzera di lingua italiana un progetto dal titolo di lavoro: „La Serbia vista dall’interno », oppure: „Le ragioni dei Serbi ». L’opinione pubblica del mondo occidentale avendo preso partito in modo unilaterale, l’intenzione di Tchertkoff è di mostrare quali siano il pensiero e gli argomenti dei Serbi. Il progetto è accettato dai responsabili. Nel luglio 1993 il Capo-Dipartimento Cultura e Approfondimento della TSI, Willy Baggi, scrive all’Ambasciata jugoslava a Berna: „L’intention est de faire connaître ce pays et de donner le point de vue des Serbes sur le drame yougoslave: les raisons d’ordre historique, politique, culturel, religieux qui inspirent et orientent les différents courants de l’opinion publique et la politique du gouvernement. Ceci en faisant également connaître le Kosovo, qui est le coeur de la culture et de l’identité historique serbes, en décrivant les conditions de vie actuelle et passée de la minorité serbe, et la difficulté que la majorité albanaise représente pour l’avenir de la région. Nous voulons décrire en outre les effets des sanctions internationales sur la société et l’économie du pays et essayer de tracer des perspectives. Bref, montrer la vision des Serbes, sans préjugés ni parti pris et essayer de comprendre avec, bien entendu, l’esprit critique qui sied à tout reportage qui se veut sérieux. Il s’agit à notre avis de substituer la diabolisation qui existe parfois dans l’information quotidienne par une analyse correcte ». B. Dopo lunghe ricerche in biblioteche, archivi, nonché in Serbia, Wladimiro Tchertkoff realizza nel settembre 1993 il servizio „I Serbi ». Il prodotto è visionato il 29 settembre e „approvato » non senza contrasti: Willy Baggi, che ha letto il copione ma non ha visto il filmato, ammonisce l’autore che dovrà assumersene da solo ogni responsabilità. Il 12 ottobre 1993 il servizio è trasmesso nella rubrica „999″ (alle 20.30, ma con una quota d’ascolto relativamente modesta). Il servizio, della durata di 50 minuti, alterna interviste a immagini abbastanza tranquille di paesaggi serbi, persone al lavoro sui campi o in viaggio, un cantore di motivi popolari. Gli intervistati sono lo scrittore Dobriza Cosic, ex-presidente della Federazione jugoslava, il patriarca della Chiesa serbo-ortodossa, il leader di un partito serbo d’opposizione, Voislav Kostunica, un vescovo serbo-ortodosso, Atanasie Jevtic, un musulmano, un serbo-bosniaco ferito, il personale di un ospedale.

C. La diffusione del filmato provoca una protesta dell’Ambasciata di Croazia. Il Capo-Dipartimento Willy Baggi, che l’ha visionato successivamente, scrive all’autore il 15 ottobre 1993: „Ho trovato conferma del tuo aperto schieramento a favore della tesi serba, schieramento inaccettabile per un dipendente di una televisione di servizio pubblico. I „protagonisti » possono dire la loro „verità », ma poiché questa non è la verità, il giornalista-mediatore non ha il diritto di assumerla ». Poiché il contrasto sulla bontà della decisione di trasmettere un tale filmato non si risolve all’interno, gli interessati convengono di domandare un chiarimento al Consiglio della Stampa.

D. Il Consiglio della Stampa trasmette il caso alla 1. Camera. Ai membri è distribuito il testo scritto e una cassetta VHS del filmato. Il 19 novembre 1994 si svolge allo Studio TSI di Comano un colloquio cui, oltre a Willy Baggi e a Wladimiro Tchertkoff, partecipano vari giornalisti e realizzatori. Del Consiglio della Stampa sono stati invitati il Presidente Roger Blum e i membri Piergiorgio Baroni ed Enrico Morresi. Wladimiro Tchertkoff e i suoi critici hanno ampia possibilità di chiarire il proprio punto di vista. L’incontro, il documento filmato e un ampio materiale di documentazione sul conflitto jugoslavo constituiscono dunque la base informativa della riflessione del Consiglio della Stampa.

II. Considerandi

1. Il conflitto jugoslavo è una tragedia cui in Svizzera e altrove si assiste sconcertati. La gente non capisce perché la guerra sia dovuta scoppiare, perché i combattenti abbiano potuto causare alle popolazioni coinvolte dolori così atroci, perché non vi sia soluzione al conflitto. E’ effettivamente difficile farsene un’idea chiara, per la confusione e i mutamenti di fronte che ha implicato. Come in ogni conflitto, nessuna parte è disposta ad assumersene la colpa. Come in ogni conflitto, la ricerca della verità è ostacolata dal gioco delle illusioni, delle menzogne e della propaganda. Non si può tuttavia affermare che il pubblico svizzero (ma non solo svizzero) sia rimasto sprovvisto di informazioni. Membri autorevoli di istituti scientifici o di organizzazioni umanitarie hanno scritto libri e rapporti, giornalisti hanno svolto inchieste approfondite ed espresso pareri chiari. A conclusioni chiare è giunto pure l’ex-primo ministro polacco Tadeusz Mazowiecki, inviato dall’organismo dell’ONU che tutela i diritti dell’uomo (Tadeusz Mazowiecki, relatore speciale della Commissione dei diritti umani, Quinto Rapporto sulla situazione dei diritti umani sul territorio della ex-Jugoslavia, Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, E/CN, 4/1994/47). Chi vuol sapere come stiano le cose può dunque avere accesso alle informazioni necessarie. Risale al 1991 l’analisi illuminante di Catherine Samary, sociologa francese di ispirazione trotzkista, sulle cause della guerra (Samary, Catherine: „Krieg in Jugoslawien. Vom titoistischen Sonderweg zum nationalistischen Excess » Colonia 1991, Originale in francese, Parigi 1991). Più recente, una descrizione obiettiva del conflitto, di Marie-Jeanine Calic (« Der Krieg in Bosnien-Hercegovina, U
rsachen, Konflikstrukturen, Internationale Lösungsversuche », Francoforte sul Meno, 1995), offre conclusioni irrefutabili: crimini ne sono stati commessi da tutte le parti, ma da parte serba è stata operata una „pulizia etnica » – il termine è usato dagli stessi Serbi – che può essere qualificata come genocidio. Prove di questa sistematica „pulizia etnica » sono contenute nei rapporti dell’ex-premier ministro Mazowiecki (Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, E/CN.4/ 1992/pp.1/9; E/CN,4/1992/pp.1-10; E/CN/1994/4; E/CN.4. 1994/5; E/CN,4/1994/47), come pure nella documentazione raccolta dal „Tribunale permanente dei popoli » (Tribunal Former Yougoslavia: We Accuse! Request submitted to the Permanent Peoples’ Tribunal, Berne 1995; Permanent Peoples’ Tribunal: Findings and Recommendations, Berne 1995). Al capitolo „Giudizi e Raccomandazioni » della Giuria del Tribunale per la Ex-Jugoslavia, pubblicato dopo approfonditi interrogatori condotti nel corso della prima sessione svoltasi a Berna il 20 febbraio 1995, si legge di „prove sufficienti per concludere che ai danni della popolazione musulmana della Bosnia-Erzegovina è stato perpetrato in modo sistematico e pianificato il crimine di genocidio » e che „il concetto di pulizia etnica niente di più e di meno equivale a genocidio, con tutte le finalità inerenti » (Permanent Peoples’ Tribunal: Findings and Recommendations, pag. 24).

2. Ovviamente ogni parte in conflitto cerca di influenzare a proprio favore l’opinione pubblica mondiale. Le Repubbliche di Croazia e di Bosnia-Erzegovina, per esempio, hanno affidato un incarico di pubbliche relazioni a un’azienda specializzata, la Ruder Finn Global Public Affairs, con sede a Washington. I Serbi si appoggiano negli Stati Uniti al Serbian Unity Congress, un’associazione militante dell’emigrazione. Anche a Losanna esiste un istituto serbo che pubblica un periodico (« Raison garder »). „L’Age d’Homme », una casa editrice losannese, pubblica scritti a sostegno della causa serba. Accanto alla guerra delle armi si svolge dunque quella della propaganda. Dev’essere compresa in questo contesto l’accusa ricorrente di „informazione manipolata » e „a senso unico ». Poiché finora l’opinione pubblica si è dimostrata dalla parte della Bosnia, l’accusa di manipolazione è stata sostenuta più vivacemente da parte serba. Non vi è dubbio che esista anche un giornalismo sommario nelle analisi, manicheo nelle conclusioni. Ci sono giornalisti che si limitano a ripetere quel che scrivono gli altri, oppure raccolgono affermazioni senza farne verifica. Si sono lette analisi lacunose, errori, unilateralità effettive. Molti informatori tuttavia hanno solo il torto di dire verità che spiacciono. E’ stato dimostrato che la requisitoria di Peter Brock, pubblicata da „Foreign Affairs » e dalla „Weltwoche » (« So logen Fernsehen und Presse uns an », „Weltwoche » del 20 gennaio 1994), è parte di una controffensiva mediatica ispirata dalla Serbia. Alexandra Stiglmayer (« Die totale Degradierung der Frau zu einer Ware », „Weltwoche » del 5 novembre 1992; inoltre: „Das Leid der Opfer hat eine Zahl. Die Massenvergewaltigungen muslimischer Frauen sind überprüfbar », „Weltwoche » del 10 febbraio 1994.) e Roy Gutman (« Es sind nicht alle Seiten in gleichen Masse schuldig », »Weltwoche » del 10 febbraio 1994; inoltre il suo libro: »A Witness to Genocide », New York/Ontario 1993), la cui credibilità era stata messa in dubbio, hanno potuto addurre prove sufficienti a documentare le atrocità (stupri, torture) che avevano denunciato. Gli interessi e gli errori di Brock sono stati messi in evidenza anche da Walter Lüthi nel „Bund » (« Manipulationen als Mittel zur Manipulation », in „Der Bund » del 28 gennaio 1994), Miska Glenny nella „Weltwoche » (« Es ist schwierig, mit komplexer Wahrheit umzugehen », nella „Weltwoche » del 3 marzo 1994), Charles Lane in „Magazin » (« Tatsachen », in „Magazin » 39 del 1. ottobre 1994). Anche da parte filo-serba, oppure da una critica accurata dell’informazione anti-serba, si sono potuti evidenziare errori e ambiguità sul fronte opposto (In particolare: Merlino, Jacques: „Les vérités yougoslaves ne sont pas toutes bonnes à dire », Parigi 1993; Bittermann, Klaus, Ed.: „Serbien muss sterbien. Wahrheit und Lüge im jugoslawischen Bürgerkrieg », Berlino 1994; Despot, Slobodan: „Médias: Quand l’autocritique succombe à l’autocensure » Revue de l’Institut serbe de Lausanne, No.4, Inverno 1994): la principale accusa, tuttavia, quella di „pulizia etnica », non si è potuta togliere di mezzo.

3. Wladimiro Tchertkoff di questo non parla nel suo servizio. Egli si rinchiude nell’argomentazione di fondo che la Serbia è la vittima di questo conflitto. Secondo lui, i Serbi hanno molto sofferto dell’aggressione austriaca e tedesca nella prima e nella seconda guerra mondiale, hanno pagato un alto tributo di sangue ed hanno molto contribuito alla lotta antifascista, mentre gli ustascia croati collaboravano con il Terzo Reich e si rendevano autori di genocidio nei confronti della popolazione serba della Kraina e della Bosnia. Dopotutto, la Serbia non ha mai aggredito uno Stato vicino. Riconoscendo l’indipendenza della Slovenia e della Croazia e permettendo il referendum sull’indipendenza in Bosnia (contro la volontà dei serbi di questa regione) la comunità internazionale ha esasperato il conflitto. Invece di riconoscere le nuove repubbliche, la comunità internazionale avrebbe dovuto mettere in discussione le frontiere interne della Jugoslavia, in quanto imposte dall’esterno oppure arbitrariamente imposte dal croato Tito. Il diritto internazionale riconosce l’esistenza delle minoranze, ma non il diritto alla secessione. Il Kossovo, per esempio, è una provincia della Serbia e non uno Stato (L’autore del servizio si basa sul „Memorandum dell’Accademia serba delle Scienze e delle Arti », Belgrado, settembre 1986; in „Dialogue » n. 2/3, settembre 1992).

4. Il problema è che l’autore del servizio, non solo dà a questo punto di vista occasione di esprimersi attraverso le interviste, ma lo fa proprio, imprimendo un senso preciso al suo commento. Tchertkoff è del parere che la parte serba meriti di trovare un difensore, nell’interesse dell’obiettività, considerata la sistematica propaganda anti-serba operata dai mass media. Da un profilo strettamente fattuale, il servizio è inattaccabile. Ma isolando i fatti descritti dallo scenario della sistematica „pulizia etnica » operata dai serbi – oltre che dalla repressione nel Kossovo – l’operazione diviene inammissibile, la manipolazione gravissima. Nel servizio si parla di genocidio, ma solo per ricordare che lo commisero gli ustascia a danno dei Serbi durante la seconda guerra mondiale. Esistono buoni motivi giornalistici per dare voce ai „leader » politici, agli intellettuali e alle gerarchie religiose serbe. Come ne esistono per mostrare che il popolo serbo non è un popolo di assassini e di aggressori. Ci sarebbero pure buoni motivi per dimostrare che a Belgrado non si incontrano soltanto sostenitori di Milosevic ma anche un movimento per la pace, un giornalismo critico, uomini di scienza preoccupati, ecc (testimonianze in „Argument », Agenzia di ricerca applicata in politica e sociologia, Belgrado, con analisi dei media di Zdenka Milivojevic, Nena Skopljanac e Stjepan Gredelj ove si dimostra l’ampiezza della manipolazione giornalistica e della campagna di odio operata dagli organi d’informazione non solo della Serbia ma anche della Croazia e della Bosnia, cf. MOMA 1/95, come pure Nena Skoplijanac: „Media and War: Construction of the Image of ‘Other’ as the Enemy », manoscritto). Mancano tuttavia, nel filmato, anzitutto il riferimento all’insieme degli eventi, in secondo luogo le voci dissenzienti di Belgrado. Dall’inizio alla fine, il servizio sposa la linea ufficiale. Benché formalmente realizzato con evidente competenza professionale, potrebbe essere per il contenuto il prodotto di un servizio governativo di pubbliche relazioni. Del tutto assenti la presa di distanza, le domande critiche, le precisazioni che, pure, le affermazioni fortemente propagandistic
he degli intervistati richiederebbero.

5. La legge e la concessione impongono a Radio e la Televisione un’informazione pluralista. Non necessariamente però la pluralità deve riflettersi in ogni servizio. I programmi devono comunque consentire al pubblico di farsi un’opinione obiettiva. E’ una prassi che la giurisprudenza dell’Autorità indipendente di ricorso (AIR) ha confermato. Poiché la Televisione Svizzera di lingua italiana si è occupata del conflitto jugoslavo più volte, riferendo perciò anche il punto di vista di croati, bosniaci o di albanesi del Kossovo, l’autore del servizio „I Serbi » può sostenere di non essere tenuto a esprimere un parere complessivo, ma di potersi limitare all’avviso di una parte: perché è dal confronto delle varie interpretazioni che risulta il panorama complessivo e si rispetta il principio „audiatur et altera pars ». Ma nell’interesse di una corretta rappresentazione delle cose i mass media sono tenuti a riflettere ogni punto di vista rilevante. L’argomentazione citata, sostenibile in circostanze normali, è difficilmente difendibile nel caso di conflitti armati, se in tal modo gli organi d’informazione contribuiscono a legittimare comportamenti inumani e sanguinosi. Ed è inammissibile nel caso della „pulizia etnica ».

6. Un servizio che omette di menzionare l’accusa di genocidio fatta alla Serbia e ignora le situazioni di „pulizia etnica » contravviene alla cifra 3 della Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista, che afferma: „(il giornalista ritiene tra i suoi doveri essenziali) la non omissione di importanti elementi informativi, la non alterazione di fatti, documenti o immagini, nonché delle altrui opinioni ». Al fruitore si offre un ritratto importante della Serbia, ma un ritratto incompleto. E’ un comportamento eticamente inammissibile: sulla „pulizia etnica » non si può né tacere né passar oltre senza un commento. Viola i propri doveri professionali e attira il ridicolo sul classico „audiatur et altera pars » chi non chiama la „pulizia etnica » con il suo nome. La pretesa inchiesta giornalistica diviene propaganda. La „pulizia etnica » non può lasciare indifferente i giornalisti. Privo di coscienza politica e morale, il giornalismo non è più giornalismo.

7. Si pone ancora il problema se Wladimiro Tchertkoff doveva sapere già nell’estate 1993 che la „pulizia etnica » era già sistematicamente praticata, per cui sarebbe stato suo dovere chiederne spiegazioni ai suoi intervistati, comunque farne menzione nel testo del servizio. Per il Consiglio della Stampa questo dubbio non sussiste. Una documentazione essenziale sulle atrocità era disponibile già prima della chiusura del servizio. Da allora l’informazione si è notevolmente ampliata, ma i fatti erano noti già nel 1993.

8. Può essere difficile a una redazione smuovere un giornalista da una convinzione nutrita in forma quasi ossessiva, indurlo a una posizione più ragionevole. Ma la redazione e i superiori professionali avrebbero dovuto seguire di più la realizzazione e influenzarne il corso. I responsabili della TSI sono stati troppo poco attivi ed hanno reagito troppo tardi. Dopo la trasmissione di questo servizio sul tema sono stati trasmessi dibattiti. Ci si può tuttavia chiedere se un servizio così unilaterale poteva essere trasmesso senza una premessa o una postilla. Il responsabile della trasmissione avrebbe potuto premettere o far seguire un accenno alle atrocità commesse da tutte le parti in conflitto, in particolare alla „pulizia etnica » operata dai serbi in Bosnia.

III. Conclusioni

Per questi motivi, il Consiglio della Stampa si pronuncia come segue:

1. Su un tema controverso, anche un servizio giornalistico che sostenga solo un determinato punto di vista è, in linea di principio, ammissibile se la pluralità dell’informazione è data per la compresenza di altri servizi. 2. In presenza di genocidio, di „pulizia etnica » o di altri crimini contro l’umanità, l’etica professionale non può in alcun modo giustificare che di una parte in conflitto sospettata di un tale crimine siano esposte le ragioni senza che il fatto venga menzionato. Al pubblico viene in tal modo a mancare un elemento essenziale per valutare il peso e il senso di un’informazione.

3. Il servizio „I Serbi », diffuso nella rubrica „999″ della Televisione Svizzera di lingua italiana il 12 ottobre 1993, ha violato la Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista, al punto 3, in quanto omette elementi d’informazione essenziali per la comprensione del contesto. Trasmettere il servizio in questa forma è stata una negligenza.

4. Alla redazione va addossata una parte di responsabilità relativa alla decisione di trasmettere il servizio. Da parte del responsabile della trasmissione si sarebbe dovuto, prima o dopo il filmato, almeno accennare alle responsabilità della Serbia per la sistematica „pulizia etnica » operata in Bosnia.